Correva l’anno 2007, tempi felici per tutti gli italiani, rincitrulliti da ore di programmazione Mediaset trashendentale con tette e culi provenienti da ogni dove, un mondo in cui l’immigrato cattivo era ancora bianco, cristiano e dalle fattezze oriental europee. Eravamo impotentemente ignari delle tre crisi sistemiche che avrebbero dissestato il sistema economico mondiale e sopratutto messo al tappeto la nostra generazione, che fino ad allora si illudeva di poter raggiungere o superare le vette di benessere giĆ segnate dai loro genitori. Non potevamo sapere dei tagli universitari Gelminiani, delle lacrime di coccodrillo della Fornero, dei voucher, del jobs act di Renzi, del COVID o peggio ancora dell'esistenza del futuro ministro Toninelli. Eravamo tanto incoscienti da investire 600 euro dei nostri mal sudati risparmi e regali natalizi non in corsi di mandarino o bitcoin, ma in Playstation 3 nuove di zecca. E si’ che acquistare tale sistema fosse un lampante azzardo: le premesse spaziavano dalla dimostrata demenza senile di Ken Kutaragi al tristissimo E3 2006. Per non parlare del Cell: un processore tanto potente quanto costoso e campato per aria che costrinse la casa di Tokyo ad accoppiarlo con una GPU scadente pur di contenere i folli costi di produzione.
Questa apparente tendenza suicida risiedeva nell’intenzione di Sony di attuare ben altra strategia aziendale: come noi italiani eravamo ignari del triste destino che avrebbe atteso il nostro paese, il produttore hardware non poteva immaginare che in pochi anni i contenuti in streaming avrebbero soppiantato i supporti fisici, rendendo i loro sforzi nell’affermazione del blu ray come standard per la registrazione di contenuti in full HD una vittoria di Pirro. Sony era certa di trainare il nuovo supporto ottico attraverso il sicuro successo della terza piattaforma di gaming, tracotante nello stimare la propria forza tirannica su un mercato che li aveva visti spadroneggiare senza avversari, ridicolizzando perfino Bill Gates.
Invece tutti gli errori citati, uniti a una difficoltĆ di produzione dei diodi dei lettori blu ray, causarono l’inevitabile ritardo nel lancio della macchina in Europa e a non poter sopperire alle richieste dell’utenza, la quale oltretutto perse rapidamente interesse per una macchina che non disponeva di esclusive al lancio che ne motivassero l’acquisto.
Tali sviluppi spinsero le storiche terze parti giapponesi che sostennero religiosamente il brand per quasi 15 anni a lasciare rapidamente la nave, annunciando la conversione di esclusive storiche su X-Box 360. Una dopo l’altra: Tekken, Devil May Cry e Final Fantasy persero il loro status e solo Metal Gear Solid 4 sarebbe rimasto un baluardo delle produzioni giapponesi esterne. Se perdere esclusive al ritmo con cui la Roma tuttora subisce goleade tennistiche in Champions League non fosse stato giĆ un duro colpo per chiunque avesse acceso un mutuo per acquistare una Playstation 3, sostanzialmente ogni multipiattaforma appariva nella sua migliore versione sulla console rivale, meno potente ma dall’architettura sensata e priva dei medesimi colli di bottiglia.
Con il fegato esploso al pari di un INCEL resosi conto che non bastasse fare colazione con latte e steroidi per conquistare Jessica Alba, l’acquirente della Playstation 3 provĆ² a convincersi che l’avesse bramata per riguardare decine di volte un paio di film pessimi in blu ray(n.d. nei primi anni di vita del sistema solo Casino Royale e Black Hawk Down risultarono tecnicamente all’altezza del nuovo supporto), poi auto-convincendosi che Bioshock fosse quasi uguale alla versione 360 e che non importasse aver buttato 600 euro nel cesso, prima o poi avrebbe avuto ragione del sagace investimento.
Peccato che Heavenly Sword, Resistance, Ratchet Tools e Motorstorm fossero delle autentiche ciofeche e che l’ottimo Virtua Fighter 5 non solo non disponesse di una modalitĆ di rete ma che sarebbe addirittura stato presto rilasciato su 360 con tale opzione in aggiunta! Oltre al danno pure la beffa!
L’unica speranza di potersi rifare delle derisione dei boxari, ormai gongolanti e consapevoli che infierire su noi poveri gonzi sarebbe stato tanto crudele quanto provocare il povero Trucebaldazzi, risiedeva in Naughty Dog e un loro progetto che sembrava promettere definitiva salvezza.
Tali aspettative non erano scaturite solo in quanto i trailer in real time di questo Uncharted mostrassero appieno il potenziale della macchina, ma soprattutto grazie al coinvolgimento di Amy Hennig, famosa lead designer dello shakespeariano Legacy of Kane: Soul Reaver. Se fino ad allora Naughty dog aveva confezionato discreti platform, questo Uncharted: Drake’s Fortune sarebbe dovuto invece essere la killer application per eccellenza, il titolo di cui gullarsi con gli amici affinchĆ© schiattassero d’invidia a causa della meraviglia grafica tecnologica da un aggeggio che fino a quel momento avevate usato solo per contare i peli di un'attrice porno o per annoiarvi a morte su quell’aberrazione videoludica chiamata Resistence: Fall of Man. In effetti il primo Uncharted risulta quasi una tech demo lucidamente scialba e con una formula sostanzialmente mutuata dal primo Gears of War (a sua volta una scopiazzatura da Resident Evil 4 con le coperture al posto dell’interazione ambientale) in cui il platforming viene utilizzato come strategia per variare leggermente il modello esplorativo dal “percorri il corridoio” molto caro agli sviluppatori del tempo, oltre a delle modalitĆ multiplayer alquanto inutili. Ai tempi passai gran parte dell’esperienza a scattare fotografie in alta definizione con la mia CANON tanto per mostrare sul forum quale porca figura facesse sul mio Black Bravia in full HD, pagato su Ebay un terzo del valore di mercato e consegnato con tanto di chiazza di sangue sull’imballaggio a testimoniarne la perniciosa provenienza.
Drake's Fortune possiede un valore retroludico sostanzialmente inesistente, se non quello di accompagnarvi verso il secondo capitolo: un’opera indubbiamente meritevole di maggiore attenzione.
3 Commenti
Non sarei tanto severo nei confronti della prima avventura di Drake. Il Cell fu un incubo anche per i Naughty Dog eppure nonostante questo tirarono fuori il gioco di avventura e cinematografico che un po' tutti volevano, azzeccando i tempi (calo di popolaritĆ di Tomb Raider, di lƬ a poco avremmo visto un pessimo ritorno di Indie al cinema), i modi e il genere.
RispondiEliminaStoria banale ma dialoghi frizzanti, la concorrenza di Gears non ĆØ che proponeva chissĆ quali trame da oscar, sparatorie ripetitive ma a difficoltĆ Distruttivo applaudivo il nemico che mi lanciava in bocca una granata da 60 metri. Tema musicale trascinante.
Nel remaster, a 60fps e senza quel terribile tearing sullo schermo frutto di uno sviluppo di lacrime e sangue, ĆØ ancora godibile per chi quel periodo di incertezze e speranze l'ha vissuto sulla sua pelle.
Sicuramente stiamo parlando di un titolo che in virtu' del contesto maturo' un'importanza nettamente maggiore rispetto a quanto non sia ravvisabile ad una partita distaccata nel tempo. Di esempi simili nella storia dei videogiochi ce ne sono a iosa a partire dal famigerato Shadow of the Beast su Amiga, in genere sono titoli usciti all'inizio del ciclo vitale e che tendono a mostrare i muscoli del sistema di destinazione. Uncharted in effetti ha tutte le carte in regola per essere annoverato in questa lista e sicuramente nelle valutazioni rilasciate ai tempi dalla carta stampata era rintracciabile una logica(una volta tanto). A mio avviso il calo qualitativo di gameplay da riscontrare sul livello raggiunto dalle produzioni sul finire della gen precedente, almeno in termini di qualita' e di creativita' di gameplay, si abbasso' nettamente in virtu' della necessita' dimostrativa delle potenzialita' delle macchine di riferimento dell'epoca, specialmente in termini grafici e di modalita' online, ma questa e' un altra storia. Per quanto riguarda Gears of War, in effetti non e' che fossimo di fronte a un capolavoro storico e potremmo quasi copiare e incollare questa lettura parafrasandone i concetti in chiave boxara a mo di white label, ma la sua modalita' multiplayer fu un indiscutibile game changer. Di certo il secondo capitolo della serie Naughty Dog ha alzato l'asticella sia nello sbandierato cuore dell'esperienza, quanto in una modalita' multiplayer uscita quasi in sordina e che avrebbe invece rappresentato una gemma nascosta e fonte di tantissime ore di divertimento, almeno per il sottoscritto.
EliminaCome giustamente dici i giochi-vetrina sono sempre esistiti, a sua discolpa Shadow of the Beast era proprio una roba indigesta e ingiocabile, ma va da se che all'epoca la stampa era principalmente di matrice britannica ed esaltava qualunque cosa uscisse dalla terra di Albione. Quando i piĆ¹ esaltati amighisti mi dicevano, ben consci della mia propensione alla scuola nipponica, che un Superfrog, con il suo level design atroce e inutilmente labirintico, era considerata la degna alternativa ai platform giapponesi, non volevo crederci. Ma tant'ĆØ, a ognuno il suo (ho amato l'Amiga, ben inteso, ma con un PC Engine o uno SNES in casa se senti cose del genere scoppi a ridere)...
RispondiEliminaUncharted, quantomeno, oltre a coprire quel vuoto avventuroso di cui ho fatto riferimento, ĆØ stato l'inizio di un percorso, una prima tappa che per quanto imperfetta (considerando che gli stessi ND fino ad allora avevano realizzato solo gochi cartoon e si dovettero reinventare, con tumulti e dissidenti interni) ha portato all'attuale situazione in cui Sony domina nel genere dei colossal story driven, non piĆ¹ ancorata a ossessioni dell' "Halo Killer" e altre assurditĆ che caratterizzarono quel rocambolesco periodo (a tal proposito la crescita di Guerrilla ĆØ stata impressionante), e di questo merito glie ne do atto. Pertanto piĆ¹ che a Shadow of the Beast lo paragonerei al primo Sonic, meno rifinito del 2, piĆ¹ breve del 3, ma ĆØ lui il gioco rappresentativo della sua console, concettualmente, cosƬ come Uncharted lo ĆØ per PS3, con tutti i suoi difetti, da limare e da definire, proprio come l'hardware da domare.