SPECIALE - Manhunt & Manhunt 2: Fratelli nel sangue


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A SERBIAN GAMES

Potremmo rimanere a contemplare il cadavere gonfio e putrefatto della serie Manhunt per ore, prima di aggiungere, o detrarre, qualcosa di sensato a quanto già visto, giocato, e letto su questa controversa ma ben conosciuta serie di videogiochi. Prodotta e sviluppata da Rockstar Games, questa coraggiosa saga fu capace di dar vita a una tale quantità di polemiche che, ancor oggi potremmo riempire GMC di innumerevoli articoli sull'etica, moralità e la libertà dell'acquirente. Tuttavia, il paradosso finirebbe col rappresentare il fine ultimo di ogni analisi, vanificando ogni sforzo di rendere giustizia alla creatura cieca e perversa partorita dallo studio Rockstar di Manhattan prima, e da quello di Londra poi. Che la caccia inizi dunque. Ma prima di perderci in questi scenari deviati, permetteteCI una considerazione sulla censura dei videogiochi.



Fox realizzò uno speciale quasi terroristico su Manhunt 2, all'uscita del gioco. 
La cosa bizzarra è che diceva il vero su gameplay e meccaniche di gioco. 

Fu giusto censurarlo?
Fu giusto bandirlo da interi continenti?
Fu giusto bloccarne la diffusione per mesi?
Fu giusto osteggiare le giuste critiche al gioco al motto di
"io sono adulto e gioco a quel che mi pare"?
Fu giusto ritenerlo un semplice ed innocuo videogioco, alla fin fine? 
Non lo so.
Quello che so è che fu a dir poco paradossale che proprio Nintendo, sebbene con una versione castrata del secondo capitolo (Manhunt 2), se ne uscì con un titolo "Rated" che simulava le uccisioni utilizzando il giocoso controller Wiimote e Nunchuck con una ferocia a dir poco incredibile? Specialmente se contestualizzata con le abitudini, per così dire, "di contenzione" solite della mamma di Zelda e Mario, in merito a videogiochi violenti? Fu piuttosto strano, ad onor del vero.




Dov'era la Nintendo "paterna"? La Nintendo che controlla meticolosamente ogni suo titolo e contenuto,? Dov'era la Nintendo che censurò le fatality del primo Mortal Kombat (sfigurandolo orribilmente), Dov'era la Nintendo che appoggia da sempre un linguaggio edulcorato ed attento, per ogni suo utente? Dove diavolo era quando Manhunt 2 arrivò al Pueblo? 
Forse, e lo dico con un tono provocatorio, era troppo impegnata a contare milioni di yen dalle vendite stellari della console Wii, per occuparsi efficacemente di gestire una simulazione, sostanzialmente, di assassinio casalingo da rifilare ai suoi clienti. Quando Manhunt 2 uscì, fu un autentico terremoto. 
Divenne un autentico baluardo contro la critica ai videogiochi e violenti. La critica che aveva ormai già assorbito il colpo con Manhunt, ignorandolo quasi del tutto, ma che non ne aveva ancora tumulato il corpo, stava per ripresentarsi. Manhunt raggiunse gli scaffali rapidamente. Prima che si potesse costruire un'efficace critica ai contenuti feroci del gioco, milioni di utenti Sony avevano già soffocato gang criminali e spaccato teste a gruppi neonazisti e suprematisti bianchi, il fiore del gioco come controversia. La critica tentò in effetti di sensibilizzare l'opinione pubblica, ma con scarsi risultati.
Il climax della critica benpensante, educata e asservita a certe consuetudini forcaiole, mai realmente abbandonate, stava puntualmente per ripresentarsi con il sequel di Rockstar, che avrebbe offerto, naturalmente, peggio del primo capitolo. Ma stavolta i media avrebbero anticipato i tempi, colpendo Manhunt 2 dove fa più male. Fu la cosiddetta pietra dello scandalo.
Manhunt 2 condivise infatti il palco con Postal, Carmageddon e, naturalmente, Doom, oltre a molti altri titoli di natura controversa come The Suffering o altri reietti del mondo videoludico, nel mentre, crescevano esponenzialmente le aspettative per questo secondo capitolo.
Stavolta Rockstar North aveva affidato il gioco alla sua divisione inglese, Rockstar London.

"Much of the attention to video game research has been negative,
 focusing on potential harm related to addiction,
aggression and lowered school performance"




È dunque doveroso da parte mia, amando e rispettando profondamente questa sventurata serie, anche se da anni è assente sui nostri sistemi di home-entertaiment, almeno ricordarvi che la saga di Manhunt, volenti o nolenti, è uno dei giochi più riusciti dell'intera ludoteca PS2.
Accattivante, brutale, strategico, spietato "Rockstar" senza mezzi termini.
La saga di Manhunt è considerata una delle serie più controverse dell'intero panorama videoludico ed uno dei migliori esponenti di categoria che si può sommariamente configurare sotto il macro genere dello stealth-game. Se trovate scioccante e disturbante il recente Hatred, con i suoi ammazzamenti senza cervello su poveri inermi civili, allora dovreste proprio dare un'occhiata a Manhunt, per rendervi conto cosa sia davvero scioccante, di cattivo gusto, estremo e profontamente sbagliato.
Gioco, Manhunt, in grado di far letteralmente torcere le budella al giocatore, letteralmente, magari prima di ricevere un frammento di vetro in una pupilla dilatata.
Autentica pecora nera del videogioco moderno, ospite sgradito dell'intero mondo videoludico, cacciato ed inquisito a forza, da puritani, bigotti e democratici, Manhunt è anche un action/horror adventure in terza persona disturbante nella sua natura violenta, non certo educata ne inncoua nei toni come in un film di Eli Roth (The Hostel) o Sam Raimi (Evil Dead).
A ben pensarci, questo gioco sembra invece condividere una eredità più vicino a Guinea Pig, o perché no, alle pellicole più estreme di Andreas Schannas (Registi del sottobosco dello splatter-extreme)
Un'avventura soffocante, un'orrida diapositiva videoludica raffigurante i bassi istinti umani, tra violenze assortite e pestaggi di gruppo. Una Arancia Meccanica videoludica e collettiva, che ancora una volta si spingeva oltre al seminato, oltre al mero concetto di videogioco ad uso e consumo, oltre al mero giochino da recensire e mettere in un cassetto e poi dimenticare.
Manhunt fu un autentico problema del mondo videoludico.
Un problema che ancora oggi non è stato risolto. È il limite da non varcare, ma è anche un esaltante territorio inesplorato, destinato però a non proseguire. Manhunt spinge l'acceleratore sul grado di accettabilità o meno dei contenuti di un videogioco, e pone la lecita domanda :

"I videogiochi si sono forse spinti troppo lontano?"



La caccia all'uomo comincia

Rockstar sta mietendo vittime nel mondo videoludico fin dal 1996, con la famosissima serie GTA, ma è nel 2003 che inizia a fare sul serio. I successi ottenuti sul campo di battaglia le permettono di spingersi nella zona rossa del mondo adulto del videogioco d'intrattenimento. Filtrato con indicibile e fredda crudeltà dalle videocamere a circuito chiuso di una nuova IP destinata a far discutere e a far godere milioni di clienti della Valiant Video Enterprise, amanti dell' omicidio colposo plurimo e selvaggiamente violento. Le coordinate per questa nuova opera videoludica sono relativamente semplici nella loro brutale esegesi: Realizzare il più violento ed appagante videogioco di sempre, una perfetta fusione tra lo stealth-gaming e uno snuff-movie* interattivo, violento, brutale, crudele.
I riferimenti cinematografici più semplici da scovare in questo gioiellino di casa Rockstar sono The Running Man (1987) di Paul Michael Glaser, tratto da un indimenticabile racconto di S.King e The Warriors di Walter Hill, ma in realtà Manhunt sposta gli equilibri più di una volta, confondendo il giocatore e lo spettatore, tanto che, verso la fine della sofferente esperienza, sarà irrimediabilmente fregato da se stesso.
Come prima cosa, Rockstar annebbia la vista ai giocatori, nessun bravo ragazzo sui nastri di partenza di Carcer City, il mattatoio, lo sfondo di questa cupa vicenda. Controlleremo fin da subito un perfetto anti eroe, un autentico figlio di puttana, nel vero senso del termine, un assassino senza scrupoli, un uomo già abituato ad uccidere, a massacrare senza pietà, sia con un mattone che con un AK47.
James Earl Cash è un vile detenuto che ha appena finito di scontare anni di carcere in attesa della sua esecuzione capitale. I suoi crimini non ci vengono spiegati, ma certamente sono imperdonabili per la società cosiddetta "civile", che l'ha giudicato e condannato per le sue azioni depravate. La pena di morte lo attende. Fin da subito, Rockstar non scherza. La pena di morte, tramite iniezione letale, è una condanna ancora vigente in alcuni stati americani.
Ma James non affronta la giustizia finale, per lui c'è in programma un viaggio senza ritorno, una redenzione nel sangue e nei frammenti d'osso.
Una finta iniezione letale, lo fa sprofondare in uno stato letargico, si risveglierà diverse ore dopo dentro un autentico incubo metropolitano. Non è morto. Non ha pagato per i suoi crimini. È vivo, solo e disarmato e ha una piccola cuffia nell'orecchio. Una fredda e metallica voce lo informa dei recenti eventi
"James, il gioco ha inizio...no, non sei morto...ma lo sarai presto se non fai come ti dico. Le regole del gioco sono semplici, sopravvivi ed uccidi quando te lo dico. Se superi la notte, il tuo debito verso la società, sarà pagato e sarai libero" 


James è stato sbattuto senza tanti riguardi nella parte "morta" della città di Carcer City, una zona abbandonata e fragile. Un dedalo mortale di cemento e rifiuti, vetri spaccati, fabbriche abbandonate, quartieri sporchi e fatiscenti. Carcer-City è la città Cancro della società, frutto malsano e degradato dell'America degli anni ottanta. Perfetta icona dell'urbanismo sbagliato che fa nascere slum e poi li popola da bande criminali, fregandosene dei cittadini. 

 A seconda dei danni subiti, James poteva peggiorare la sua condizione fisica,
il giocatore invece poteva peggiorare la sua sanità mentale sentendosi sporco e malato di endorfine 

Il giocatore e il suo avatar non saranno del tutto soli. Decine di gang criminali e pazzi assoluti ci daranno la caccia. Braccheranno James con spranghe, mannaie, coltelli e pistole e ogni oggetto di dolore lacerante e contundente inventato dall'uomo. Lui dovrà cercare ovviamente di sopravvivere, rigorosamente disarmato, almeno all'inizio, poi potrà usare tutto quello che trova, dai sacchetti di plastica, ai colli di bottiglia rotti.
Il suo allucinante viaggio, mentre affronta nella più cupa bestialità insita nei recessi dell'animo umano, ha inizio. Non si tratta certo della sua redenzione, ma bensì di una predazione. La sua meritata condanna. James, è un barbaro moderno, un uomo di poche parole, è il prescelto, la star del regista, e dovrà compiacere una folta schiera di ricchi annoiati, quando e come gli viene detto, facendo la cosa che gli riesce meglio e che ha continuato a fare per tutta la vita: Uccidere. Ma stavolta, dovrà uccidere con ferocia, seguendo ordini precisi; è la star inconsapevole del film ma ha il suo copione sadico da rispettare stavolta. Dovrà seguire le regole, scrupolosamente, o morirà, prima che giunga l'alba.

Gli "Smiley" prediligono armi che tagliano e sminuzzano

Cash viene mandato su un autentico set televisivo del degrado quindi. Sarà spiato da migliaia di telecamere appollaiate e nascoste in ogni angolo di questa mortale città fantasma, questo cancro malato di calce e mattoni, liberamente ispirato all'iconografia del quartiere ghetto, diviso a zone da filo spinato e muri invalicabili, Rockstar assesta un duplice colpo al giocatore. È Detroit? È Manhattan? È il Bronx? Sono Le Favelas? Manhunt è uno specchio, riflette quello che il giocatore vede nel riflesso.

L'effetto "VHS" di Manhunt è l'ennesima trovata geniale, poiché rende ogni "esecuzione" di Cash un terribile video di contrabbando di morte pre-registrata. Qualcuno lo sta guardando probabilmente. 

Le telecamere zommano su Cash mentre attraversa passo dopo passo questi luoghi spettrali, vuoti, mischiandosi nelle aguzze ombre di questo agglomerato urbano deforme. Un incubo che respira tra il bronx e il ghetto ispanico. I freddi macchinari spiano i suoi movimenti, le sue pulsioni, le sue brutali uccisioni, mentre occulta l'ennesimo cadavere sulla sua strada. Registrano e inviano video di morte, mentre qualcuno ride o si sbottona la patta dei pantaloni. Dopotutto Cash deve fruttare denaro e soddisfazione per i clienti del "Regista". Ogni cosa in quello scenario è magistralmente pianificata da un perverso regista di snuff movies e produzioni discutibili (Mr Lionel StarkWeather) che elegge Cash come indiscusso protagonista di una sorta di snuff - TV - Movie - direct on video - per i suoi amici, clienti abituali della sua Valiant Video Enterprise.
Il regista è un oscuro personaggio, vomitato dalle fogne di Hollywood, non semplicemente un boss finale, ma qualcosa che lo supera concettualmente. Il Regista è intenzionato a fare di Cash la star “usa e getta” della sua prossima pellicola di contrabbando iperviolenta e snuff. Il suo unico scopo, perseguito con indomita perizia, è quello commerciale. Non è un "nemico" di James. Non ha conti in sospeso, non ha ucciso la sua famiglia, non è un personaggio collegato in qualche modo al condannato. È semplicemente la banalità del male. Compie quello che compie solo per denaro. Non c'è altro. 

Inoltre, per ottenere la migliore interpretazione possibile il regista seguirà il detenuto (ed il giocatore) per tutta l'esperienza di gioco e, se opteremo per l'utilizzo delle cuffie in real-life, Mr Stark ci sarà sempre addosso spronandoci a dare il peggio di noi. Sentiremo la sua sgradevole voce che ci canzona e che ci spinge, suggerendoci come e chi uccidere. Il regista ci avverte direttamente in cuffia dei nostri progressi e delle nostre gesta, con una qualità surround veramente stupefacente. Il suono del resto, è la chiave del gameplay di Manhunt.
Anche il parco umano di orrori che ci aspettano tra vicoli, manicomi, mattatoi, supermercati abbandonati e rimesse d'auto arrugginite è alle sue dirette dipendenze. Il regista li avvisa del nostro arrivo, ma non svela la nostra presenza, altrimenti il gioco sarebbe tedioso e troppo prevedibile. Sulla nostra testa c'è una taglia, una enorme somma di denaro, forse persino scommesse ma, sopra ogni altra cosa, c'è una trama del film che stiamo vivendo che non può essere compromessa.

Certo, è probabile che anche alcuni cacciatori siano costretti ad ucciderci. Ma non importa. O noi, o loro.

"You are fucked"

Così Hoods, Innocenz, Smiley e decine di altre tribù metropolitane di Carcer City rinchiuse come noi ma volontari emissari di morte, sono bramose solo di una cosa: Trovarci e farci a pezzi nei modi più impensabili, e magari riscuotere la somma che pesa sulla nostra testa, già che sono.
Lo testimoniano del resto, il sangue sulle loro maschere, le ferite autoinflitte, gli inquietanti tatuaggi che raccontano una storia di violenza e sadismo accompagnato dalle isteriche urla delle loro ultime vittime, i loro ruggiti, le loro imprecazioni, e le loro richieste di pietà, almeno stavolta.
Ogni banda di Hunters ha colori specifici, vestiti di rango ed appartenenza, frasi e metodi di caccia assolutamente originali e il vasto bestiario non mancherà di stupire il giocatore per la meticolosità con il quale raffigura questi scarti umani della società.
I gruppi neo-nazisti ci provocheranno, facendoci uscire allo scoperto e affrontandoci a viso aperto con armi contundenti e dinamiche da branco, come mazze, e piedi di porco; altre gang, composte perlopiù da deviati e pervertiti della peggior specie, al sicuro di luci alogene e baracche puzzolenti, ci minacceranno invece di volerci violentare ripetute volte dopo averci ucciso. Altri ancora, completamente insani e psicopatici, non vedranno l'ora di strapparci la faccia ed indossarla. Linguaggio adulto, quello di Manhunt, senza tanti fronzoli. La città spinge alla violenza, ogni graffito sul suo scheletro martoriato, sembra ricordarcelo, ad ogni passo.



Nel gioco è possibile disattivare il radar e aggiungere un filtro di disturbo  che peggiora  ulteriormente la visuale, regalando un effetto sporco e pastellato 

Tantissima cura è stata riservata a questi aspetti, tanto che mentre giocheremo con la vita di questi rifiuti della società, ci sentiremo giudici, e dispensatori di morte, mentre una colonna sonora martellante e sintetica, industrial e minimale, ci farà piombare in uno stato di catalessi nevralgica, in cui ripetere ed uccidere diventerà un loop costante.
Manhunt è un gioco fetish ed hardcore, un segnale disturbato della categoria stealth che dell'occultamento e dell'ammazzamento, fa il suo pilastro fondante. Una vivida esperienza opprimente e perversa, non contrapposta ma amalgamata con indicibile maestria, genuflessa ad un metodo di gioco geniale, riflessivo, appagante e molto crudele. Mentre in Splinter Cell o Tenchu o in altri esponenti della categoria, lo scontro è un’eventualità da evitare il più possibile, o quantomeno gestire al meglio, in Manhunt accade esattamente il contrario: Uccidere è un esigenza, una autentica necessità per proseguire. Spazzare via la banda criminale di turno, un nemico alla volta e liberare la zona, nella maggior parte dei casi, sbloccherà la strada per proseguire all'area di morte successiva, dove dovremo compiere una nuova genuina carneficina, ripetendo il copione ma con ancor più aggressività.
La particolarità dell’esecuzione in Manhunt, caratteristica che l'ha messo in discussione ed inquisito fin da subito, è semplice nella sua esecuzione "game-playistica": Tenendo premuto il più a lungo possibile il tasto azione, più l'uccisione del malcapitato sarà più violenta e feroce, con tre gradi di truculenza (bianca gialla e rossa) facendovi guadagnare una migliore valutazione al termine del livello e una peggiore autostima di voi stessi. Sì. Avete letto bene. Più tengo premuto il tasto, più ucciderò con cattiveria e sadismo.

Nel buio aspettiamo il momento buono per agire...ed uccidere

Ed è qui che sostanzialmente, emerge il lato più malsano del titolo. Manhunt spinge e richiama efficacemente ogni tipologia di giocatore a fare del suo peggio, che paradossalmente sarà il suo meglio, in termini di gioco e valutazione. Potendo contare su un'ampia gamma di uccisioni (ben 3 per arma) tutte abbastanza indigeste per sadisimo, lunghezza ed efferatezza.
Il giocatore completista, quello che pone molta attenzione ai risultati di fine livello, verrà inondato da disturbanti sequenze sgranate per aver un buon risultato di categoria, le quali mostreranno uccisioni decisamente articolate, registiche ed insopportabili, pagando il prezzo della sua morbosa attenzione per i ranking, poiché uccidere un nemico aspettando pazientemente che l'indicatore diventi rosso, gli conferirà un ottimo punteggio di fine livello.


Gli "Hoods" sono perlopiù stupratori, sarà facile sbarazzarsi di loro, se presi uno alla volta... 

Quello che si abbandona all'atmosfera deprimente e sporca del titolo, molto Carpenter "1997 Fuga da New York" e il citato I Guerrieri della Notte, cui Rockstar dedicherà anche un gioco celebrativo nel 2005 dall'omonimo titolo (The Warriors) Troverà una dimensione extraludica assolutamente unica. Il giocatore animale non potrà non uccidere con un gusto insano chi cerca di ucciderlo a sua volta. Un gioco al massacro e un vortice di violenza lo travolgerà sia che sia veloce o lenta l'esecuzione, pianificata o immediata. 
Infine il giocatore che si concede all'ira, proverà un gusto spietato nello sbranare gli avversari, uno dopo l'altro, con scheggie di vetro, buste di plastica, martelli e mazze da baseball al massimo della esecuzione possibile, il tutto con suoni che ne deriveranno di carne trafitta, costole spaccate, soffocanti lamenti e gemiti convulsi di membri delle gang che vengono decimate lentamente ed inesorabilmente.

                       grshshshs..."Sono merde come te Cash, non avere alcuna pietà di loro"...grrrrshs 


Per ogni giocatore il suo cartellino sull'alluce destro insomma.
Rockstar con Manhunt ha reso il videogiocatore un vero e proprio videogioco umano. Sfrutta le sue pulsioni, lo fa annaspare negli obiettivi che si prefigge, lo stimola a superare i suoi limiti etici e morali: Vuoi finire il gioco? Ammazzali tutti e fallo con brutale efficienza, fai come ti dico, vedrai che ti piacerà. Il gameplay offre un'interfaccia non troppo lontana da quella di GTA, con piccoli coni che rappresentano la linea di vista dei nemici. Le ombre sono un riparo sicuro, i rumori sono la nostra salvezza, provocandoli faremo dividere i nemici per poi occuparci di ognuno di loro, singolarmente.  Scorrendo con il tasto direzionale sceglieremo l'arma adatta e daremo il via al film.
Il gioco è apparentemente molto basilare nelle meccaniche, ma l’esperienza è fortemente influenzata dal concetto stesso della prassi, a cui si lega l’idea di fondo del gioco al massacro. Non c’è un videogiocatore vero e proprio, quello che tiene in mano il pad è un attore che recita il suo piccolo filmino perverso, il suo personale inferno sulla terra, tra cemento e detriti, vetrine spaccate, strade poco illuminate, ed edifici orribili e consumati dall'odio. Il giocatore non ha scelta se vuole completare l’esperienza, se vuole sconfiggere il regista o se stesso. Non ha che la scelta di compiere gli omicidi più efferati e grotteschi, compiacere il suo pubblico, sopravvivere e deve dare spettacolo, compiere un' artistica carneficina. Quindi, una volta spente le luci (come si consiglia nella schermata iniziale) ed entrati nella proiezione, ci sono solo due possibilità: O si va via a metà spettacolo o si tiene duro fino alla fine, stringendo i pugni. Assistendo ad una conclusione, più simile ad un liberazione che ad un logico epilogo della vicenda. Cash, con il suo andare oscillante e predatorio e la testa di un nemico decapitato agganciata alla tasca posteriore dei jeans, si accuccia nell'ombra, aspetta pazientemente che il gruppo di psicopatici si divida. Due vanno a destra, uno sale le scale, un'altro resta immobile sotto un lampione che sfrigola insistentemente. È il momento giusto.
Ci muoviamo nell'ombra, stringiamo in mano una scheggia di vetro, la teniamo così stretta che ci sanguina la mano, siamo a portata del suo collo..ma aspettiamo ancora, un istante infinito tra la vita e la morte. Poi scatta un fruscio dell'auricolare

                        ...grshshshs..."Negli occhi Cash ! Ficcagliela negli occhi" ...grrrrsshs

Il pubblico esige il suo tributo di sangue.
Noi non siamo altro che moderni gladiatori urbani.


Overture di violenza



C’è chi ama questo gioco alla follia, c'è chi lo osteggia bollandolo come uno spettacolo ripugnante di bassa macelleria videoludica, ripetitivo nella sua estrema violenza e assai noioso. Entrambe la categorie secondo me sbagliano.
Manhunt non è un gioco, ma un vero e proprio video interattivo. Chi odia questo videogioco, lo fa saggiamente, perché forse si rende conto che il suo compito da videogiocatore finisce qui, diventando una sorta di spettatore difronte ad una grottesca TV interattiva.
Uno spettacolo ripugnante in cui è tenuto a mostrare il suo lato peggiore, quello nascosto, ineludibile, quello malato e feroce. Ma c'è anche una categoria di giocatori che cercherà in Manhunt il videogioco vero e proprio, scavando dentro questo gioco di caccia e massacro, sangue e gole tagliate, studiando questa opera di design estremo ma raffinato ed accorgendosi, che nel mattatoio compiaciuto e sfrenato di Manhunt, non ci si può aggrappare all’inconsistenza videoludica pretestuosa o finta di questo gioco. Perché l’interazione tra utente e video è ben congegnata, i controlli fanno il loro dovere e l'interfaccia di gioco risulta ben strutturata e leggibile. Non si potrà, in sostanza, etichettarlo come un gioco brutto, ma come un gioco bello, brutto, sporco e cattivo.

The silence of The Lamb

“Mi fa male la testa, me la sento scoppiare. Dio aiutami. 
Qualcuno sta urlando...
Beh, qui al Dixmor , non è cosa nuova. 
Un urlo soffocato a malapena viene sentito dalla negli angusti corridoi del manicomio che mi ha tenuto prigioniero… finalmente apro gli occhi… un cadavere con vestiti bianchi cade dalle mie mani tremanti e si abbatte sul pavimento. 
Una siringa coperta di sangue scivola fuori dal mio braccio. 
Ondate di confusione e paranoia si schiantano nella mia mente. 
Non ho la più pallida idea di chi sia o di come sia arrivato qui dentro. 
La porta della mia cella è aperta. 
Devo fare una scelta. 
Ho una sola possibilità..ha ragione..Leo.”

Mentre il primo Manhunt ritraeva con indubbia efficacia una squallida storia di grana grossa, aggrappandosi a bassi istinti umani voyeristici che gravitavano attorno ad macabro e violento reality show per ricchi annoiati e deviati, Manhunt 2 trae ispirazione da una ambientazione ancora più squallida ed opprimente, il condizionamento alla violenza, il controllo della malattia mentale, la follia.
E' una storia a base di sperimentazioni sul cervello, chip impiantati su cortecce cerebrali, famiglie di agnelli sacrificati sull'altare della scienza psichiatrica, uomini resi larve e, naturalmente, una caccia senza quartiere.
Ma stavolta non ci saranno prigioni urbane a misurare la nostra sete di sangue, nè iperbole registiche, nè snuff movie : la violenza irromperà nelle strade cittadine, bucando lo schermo tra cinema porno, locali fetish e sexy shop dei quartieri malfamati, suscitando un perverso senso di abbandono nel giocatore. Siamo liberi eppure prigionieri di questo mondo squallido, deviato e perverso firmato ancora una volta dai maestri del genere, gli unici in grado di graffiare la realtà senza filtri per i minori: i ragazzi di Rockstar Games. Nessuno show, solo violenza domestica di cui vi renderete autentici predatori moderni.

Lo ombre vi saranno amiche, anche in questo gioco infatti sono fondamentali
per occultare i cadaveri 


Questo sequel sposta la propria attenzione su di una ambientazione intrigante e parzialmente diversa, rivolgendosi al giocatore con una narrazione leggermente più adrenalinica e più misurata, senza però rinunciare al gusto della provocazione tipico di Rockstar e a qualche sporadica riflessione sulla società cosiddetta "normale".
Nel primo Manhunt eravamo le stelle indiscusse di un estremo, sadico e violentissimo reality show, in Manhunt 2 tutti gli scenari sono protagonisti indiretti della nostra lenta corruzione, portando il fardello di una incostante critica sociale, e facendo sprofondare la nostra anima in un turpe teatro di sesso e violenza, il quale rincara la dose ogni qualvolta se ne raggiunge il culmine. La stesura ludica del gioco rimane un action-stealth in terza persona, straordinariamente reso più reattivo e più scattante, perché stavolta la lotta sarà davvero senza esclusione di colpi, spietata e ancora più malata.
Come il precedente episodio è tutto basato sulla furtività e sulla nostra bravura di passare inosservato e colpire con ferocia nelle ombre, anche se stavolta ci è stata riservata una qualche spiacevole sorpresa: I cacciatori saranno scaltri ed abili, sanno che siamo delle macchine assassine e non si faranno cogliere impreparati. Manhunt 2 è in possesso di una palpabile tensione, un'atmosfera che si insinua intorno all'attesa di colpire, con metodica efficacia, e che sfocia nell'esecuzione più cruda e violenta che possiate immaginare. Questa volta, Rockstar London tocca sensibilità molto più particolari. E per questo motivo, titillando nervi scoperti della società, come le malattie ed i malati mentali, è polemica.

 Al Manicomio criminale di Dixmor manca un pochino di sorveglianza.

Siamo in un fatiscente ospedale psichiatrico per criminali psicotici, il Dixmor Insane Asylum, nel quale la terapia adottata non sarebbe vista con favore dagli psichiatri più progressisti. Infatti al Manicomio di Dixmor dottori ed infermieri attuano ogni sorta di violenza e sopruso, fisico e psicologico, su pazienti ormai ridotti a stati vegetativi o di follia permanente. Il che significa botte, camicie di contenzione, feci e manganellate.

Una cura notevole è stata messa nel rendere inospitali e squallide le aree di gioco,
anche se la grafica è piuttosto approssimativa  

Una notte, durante un violento temporale, un improvviso blackout mette fine a questo atroce lager ospedaliero, causando un cortocircuito che fa scattare l’apertura di tutte le celle dei pazienti. 
Un convincente metodo per gettare il giocatore nel cuore del gioco, spiccio ma funzionale, spingendolo a familiarizzare con i controlli che non sono cambiati, ma anzi resi più reattivi.
Il nostro scopo primario è l'evasione, mentre si compie un' atroce vendetta dei detenuti, per mezzo di una violenza indiscriminata, accompagnata dal trillo insopportabile del campanello d'allarme, che ci perfora i timpani.
Il benvenuto in Manhunt 2 è dunque uno dei peggiori. Dovremo fuggire dall'ospedale durante una feroce sommossa dei malati di mente del Dixmor Asylum, massacrare ogni infermiere che tenta di riportarci in cella, uccidere ogni paziente che tenta di fermarci o che ci chiede di aiutarlo..sarà il nostro banco di prova per testare le meccaniche di gioco, non diverse dal capitolo precedente, ma anzi meglio implementate, specialmente nella lotta corpo a corpo, resa ancora più viscerale.

La brutalità di Manhunt2 traspare da ogni immagine sparsa sulla rete

Se è vero che la presentazione di un gioco a volte, vale più di mille parole, questo gioco era stato aspettato al varco. Una vasta pletora di oppositori che, giustamente, si aspettavano il peggio dal sequel di Manhunt, non mancò di insorgere appena venne rilasciata la demo del gioco agli organi competenti di classificazione. Il comitato per la difesa dei diritti dei malati degli ospedali psichiatrici additò Manhunt 2 come un gioco offensivo verso la sensibilità di medici e pazienti che lavorano in queste specifiche strutture. E avevano ragione.
La caccia all'uomo era appena iniziata, l'ospedale era il primo scenario di gioco e già era scattato l'allarme, ed il conseguente coprifuoco. In realtà il gioco avrà modo di peggiorare ulteriormente la sua reputazione, oltre a far precipitare ancora la sua classificazione fino ai limiti consentiti, provocando persino il ritiro anche sul suolo Italico, grazie all'ex-Ministro, Paolo Gentiloni.
Raggiungerà i negozi in Europa un anno dopo la sua commercializzazione in America (sebbene pesantemente censurata), mentre uscirà nel Regno Unito esattamente un anno dopo il rilascio originale negli Stati Uniti ed Europa, avvenuto la Notte delle Streghe.
Il gioco infame ha ormai fatto notizia in tutto il mondo, ed è utilizzato come strumento politico per potenziare le preoccupazioni del popolo su censura e controllo mentale.

And this be our motto: “In God is our Trust.”
And the star-spangled banner in triumph shall wave
O’er the land of the free and the home of the brave!

Ancora una volta Rockstar si prende a cuore le vittime della società moderna, trasfigurandole in carnefici senza volto. Se James Earl Cash era un pluriomicida, avvezzo alla violenza, segnato da un destino amaro di sconfitte come uomo, fratello mancato e membro di una gang di perdenti, Daniel Lamb è uno psicopatico senza mezzi termini. Daniel è un “pazzo” a prima vista piuttosto comune ed insignificante, smarrito, spavantato di fronte a tutto il caos provocato, ma nonostante questo, un serial killer lucido, freddo e calcolatore, determinato a camminare sui cadaveri di infermieri aguzzini e malati di mente, con una ferocia bestiale. È Leo Kasper, il coprotagonista del gioco, del quale più tardi assumeremo il controllo, a farci da mentore, spingendoci ad evadere dall'ospedale ed indicarci i modi più sadici e violenti per ammazzare i nostri nemici e vendicarci con qualsiasi cosa ci troviamo in mano. Dalla comune penna a sfera a una siringa vuota, da un trapano ad una tavoletta del cesso. Mettendo in scena una delle più atroci mattanze mai concepite nel mondo videoludico, nemmeno i videogiochi indie giapponesi più feroci e sanguinari arrivano a tanto.

Yandere Simulator è un discutibile simulatore di assassinio scolastico giapponese
in cui uccidiamo le nostre rivali d'amore, minacciamo i testimoni e ci liberiamo dei cadaveri. 
Attualmente è stato modificato per renderlo un'esperienza reale di una maniaca omicida superando il semplice cattivo gusto.

Ma Daniel è un tassello importante di un mosaico vasto, un pezzo a cui non si può rinunciare tanto facilmente, non un semplice malato mentale pericoloso, ancorché fuori controllo. Fa parte di un disegno più ampio. Così ben presto sulle sue tracce, come implacabili mastini, arriveranno cacciatori di taglie, predatori notturni, maniaci di ogni sorta, gang metropolitane, fanatici della razza ariana, vendicatori e nostalgici delle guerre di secessione, persino pattuglie del confine messicano e Klu Klux Klan in pompa magna. Tutti assoldati, tutti pagati profumatamente dal "Progetto" per mettere a tacere il Signor Daniel Lamb una volta per tutte. Non importa come, il ragazzo deve morire.

I primi nemici di Daniel sono i WatchDogs, i cani da guardia del progetto Pickman

È questa la premessa per una storia, seppure non originalissima di prima battuta, affascinante e coinvolgente, soprattutto per la sua capacità di svelarsi man mano agli occhi del giocatore con straordinaria efficacia. Ed è proprio la trama il punto di gran lunga più forte di questo Manhunt 2, insieme all’ambientazione curata e alla caratterizzazione dei personaggi che volutamente sono estreme, sadiche, perverse, sudice e disperate.
Il primo Manhunt era un coacervo di scenari che avevano un'inizio ed una fine, quando Cash finiva una zona veniva tramortito o percosso dalle Guardie Cerberus (le guardie del corpo private del regista) fino a perdere i sensi stramazzando al suolo. Si risvegliava ore dopo in una nuova zona, si leccava le ferite e si preparava ad uccidere di nuovo.
In Manhunt 2 noi siamo invece al centro di un complesso racconto di abuso e sopraffazione metropolitana. Daniel cerca di ricostruire il suo passato, persino una scatola di fiammiferi con sopra uno sbiadito indirizzo di un locale fetish e sadomaso è un indizio, vale la pena seguirlo, anche se troverà un autentico abisso di degradazione umana e di perversione, oltre ogni aspettativa. Tutta la città è zona di caccia, per noi..e..per loro.

"Near the entrance to perverted club"...ma ancora non avete visto davvero niente. Il livello/area dentro un locale BDSM di Manhunt 2 è probabilmente la zona più sporca e perversa mai progettata in un videogioco. Nella versione "Uncut" si sprecano scene sadiche e di violenza quasi ferale. 

Non tutto rientra in una reiterata provocazione di violenza gratuita o fine a se stessa, messa lì giusto per far scandalo: è viceversa tutto organico ad un disegno di un gioco certamente per adulti che sguazzano nei B-movie, ma niente affatto superficiale o poco ispirato, e questo, oggigiorno, resta un suo grande pregio. Trama ed ambientazione sono quindi da incorniciare e sono gli elementi più fastidiosi, quelli più insopportabili perché resi, a fronte di una grafica squallida ma discreta quando serve, i più facilmente criticabili. Daniel uccide per scoprire il suo passato e per difendersi. Man mano che il gioco prosegue scopriremo che c'è un perché alla nostra de-sensibilizzazione alla violenza, c'è un perché dietro ad ogni cosa. Perché la nostra famiglia ci ha abbandonato? Perché uccidiamo con questa ferocia inumana? Perché abbiamo strane visioni di simboli, glifi e ideogrammi, che ci spaccano la testa?
Rockstar si dimostra nuovamente geniale, corrompendo l'anima e spiazzando chi tiene stretto il pad, stavolta però lo fa in maniera diversa, rispetto a prima.
Siamo noi ad essere il vero e proprio disturbo di Daniel Lamb. Siamo noi la sua interferenza, siamo noi la sua malattia mentale, siamo noi che lo spingiamo all'efferata violenza. Daniel ha paura, è inseguito, cerca frammenti dal suo passato, noi siamo la sua ombra, ma anche la sua efferata mano. Siamo noi che lo costringiamo alla violenza, lo sottomettiamo ai nostri capricci ludici di vedere il sangue scorrere, amputare, spaccare e trafiggere carne e tessuti dei nostri nemici. Quando finalmente abbiamo visto quello che Daniel può fare, ed è garantito rimanerne impressionati, proviamo uno schifo inenarrabile, non volevamo fare una cosa simile...ma lo rifaremo, per decine di volte e anche se non è necessario. Il paradosso di Manhunt è servito, la violenza siamo noi.

“Do exactly as I say, and I promise this will be over before the night is out.”

Tre anni sono passati dall'incubo metropolitano di Carcer City. Ma tutto è esattamente come l'avevamo lasciato. Anche se stavolta siamo in una città, un luogo aperto, illuminato, ricco di ambientazioni diverse, ben presto si farà strada un senso di sporcizia opprimente che ci accompagnerà per tutta l'avventura macabra e grottesca di Daniel.
La dose di violenza in questo titolo è stata irresponsabilmente moltiplicata per dieci rispetto al precedente titolo, raggiungendo una vera morbosa attenzione non solo per come si uccide, ma anche come si vedono morire molti npc del gioco, o per mano nostra o per mano dei nostri aguzzini.
È stata aggiunta a Daniel la possibilità di scatenare una gran varietà di esecuzioni ambientali, tutte diverse fra loro, molto crudeli e sofisticate nella loro resa visiva. Non si tratta semplicemente di metodi per sbarazzarsi dei nemici, ma del provare un gusto malsano nel farlo. Con Manhunt 2 è stato raggiunto un picco di violenza visiva su schermo raramente toccato, che non può che fare realmente inorridire i benpensanti e far riflettere i giocatori più aguzzini. Alcune sequenze del gioco poi sono state interamente tagliate, come le gabbie con le ragazze date in pasto ai maiali, o le sperimentazioni su animali vivi (forse un vacuo tentativo di sensibilzzare alla tematica della vivisezione?) o altre scene come il mattatoio alla Hostel, sotto ad un locale di bondage e sadomaso, sono ancora, a tutt'oggi, ai vertici della violenza videoludica ed interattiva che i videogiochi hanno avuto il coraggio di mettere sul codice.



50 sfumature di morte


Ad onor del vero è doveroso precisare che la versione attualmente in commercio di Manhunt 2 PS2 e Wii è stata completamente censurata, applicando al gioco un filtro di disturbo ad ogni esecuzione di Daniel che la rende praticamente impossibile da decifrare, ma stranamente ancora più disturbante di come fu originariamente progettata. Inoltre la versione in commercio è stata destrutturata e riprogettata interamente, tanto che alcuni livelli non seguono la trama ma anzi sono sovvertiti all'ordine prestabilito dello sviluppo originale del titolo. Ne consegue una trama confusa, con livelli invertiti o resi specchio dei precedenti. Come se ciò non bastasse, alcune aree, sono state brutalmente rimpiazzate da zone innocue di shooting, con texture in bassa risoluzione, e ambientazioni scartate, ripescate direttamente da pezzi del codice sotterraneo. Adattati, frettolosamente e alla meglio. Sostanzialmente si operò in questo modo scellerato per non subire un nuovo ritiro da parte della Commissione ESRB e al contempo, riempire il gioco con qualcosa. Il titolo attualmente in vendita non corrisponde alla versione originale progettata.
Tuttavia, quando il secondo ritiro del gioco e la censura stavano obbligando Rockstar London a sforbiciare il titolo, tagliando intere sequenze di gioco, oppure rivedendo livelli troppo crudi, uccisioni e cutscene, qualcuno dentro Rockstar London fece in modo di buttare sulla rete, nei suoi sobborghi più malfamati della deep-web, dimora di hacker e dumper senza un briciolo di dignità, una copia illibata della versione originariamente pensata del titolo, che conteneva scene come questa, che per amor del buon gusto non tradurrò. Chi vi scrive ha avuto la possibilità di giocare questa versione.

"The ultra-violent videogame Manhunt 2 allows you to rape a woman shortly after you beheaded her in the brothel level called Honey Pot. Members of the ESRB were shocked when Daniel Lamb used his male reproduction organ and simulated a penetration in the bloody hole. Other gruesome parts include microwaving a living cat to death and being a witness of necrophilia in a cemetery in one of the later stage of the game."

Ed era realmente indigeribile una cosa simile, anche solo pensare di distribuirla su Playstation 2 o Wii, senza incorrere in blocchi o censure o persino conseguenze legali. Chi vi scrive si basa sulla suddetta versione, non esente da freeze e glitch e da un mare di problemi minori, ma funzionante. In pochi mesi il gioco divenne virale, tanto che ai server che l'ospitavano fu intimato di rimuoverla, visto che confinava con lo snuff-game. Un'apposita patch fu fatta anche per la versione Wii per restituirla allo "splendore" originale, poiché era la versione Uncut-PS2. Da alcuni, questa versione è chiamata "Uncut RVersion". Ora è piuttosto difficile da rintracciare nell'Agorà del web.
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In conclusione, Manhunt 2 e Manhunt sono la faccia oscura della luna videogioco, i poli nascosti irrintracciabili su una mappa parzialmente scoperta dal nostro satellite preferito, oppure due parenti disconosciuti che vengono spesso cancellati dalla lista inviti, ma si ripresentano, puntuali ad ogni funerale. Rockstar Games voleva rapire il giocatore e farlo annegare lentamente dentro una forma di paura inconscia, la paura di essere sopraffatto da entità in tutto e per tutto, simili a lui, non mostri, non alieni, ma uomini. Anche se esseri del tutto uguali. Simili perché uomini, diversi perché predatori nati e noi prede, o viceversa. Angoscia, senso di accerchiamento, fuga, tensione, adrenalina e poi orrore, sangue, ancora un colpo, sferrato con una perizia medica alla base del collo.
Rockstar ci fa sentire animali, sonda le nostre vie di fuga e le blocca, ci lascia in balia dei nostri istinti naturali e “terribili” ma dopotutto, fin troppo umani. Manhunt è proprio questo: Un viaggio senza ritorno tra la paura della sopraffazione altrui, la cui unica via di fuga è la fuga stessa o il combattimento selvaggio corpo a corpo. Come 10,000 anni fa in cui tagliavamo la gola con un pezzo di selce appuntita. Un gioco che è esperienza più emotiva che ludica, un grande film horror-psicologico che si dipana nella nostra coscienza, prima che sullo schermo. Nessuna scena d’impatto, nessun mostro (se non quelli che vediamo fuori da noi) ma solo la sensazione di trovarsi dentro qualcosa di orribile, facendo scaturire le nostre paure più nascoste allo scoperto. Manhunt è paura e violenza. Un titolo che va compreso più come opera psicologica che come videogioco in se. Frase provocatoria forse, ma è proprio Inside Us che Manhunt da il meglio di se.

Qui passa e chiude il vostro Aku, in attesa che Rockstar apra un Kickstarter per

  There will be blood.


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2 Commenti

  1. Complimenti per aver preso in esame questo gioco meraviglioso.
    Sono un fiero possessore delle due copie in questione, e ancora oggi lo ritengo uno dei miei brand preferiti di sempre. Era grezzo, sporco, con scelte stealth prese qua e la, ma riusciva a farlo nel SUO modo. Un titolo ineguagliabile nella sua interpretazione.
    Uno stealth in cui ti senti realmente in pericolo, non capisci nemmeno se quello che senti è il battito emesso dalla TV oppure il tuo.
    Il secondo capitolo invece non mi ha colpito come il primo, ha troppe sparatorie forse, e al tempo erano pure bruttine quelle di R*
    Peccato per il suo triste destino. Fosse stato un film gli avrebbero dato pure l'oscar, ma siccome è un videogame resta solo un prodotto malsano che rovina le menti.

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  2. Articolo spettacolare Conte ! Mi è piaciuta la tua esposizione morbosa e attaccata alla virulenza che da sempre ti contraddistingue. Mi piacerebbe una serie di video dedicata a questa serie, con la tua voce tremebonda che ci porta per mano attraverso panorami splatter e gore. Manhunt 2 però è molto inferiore al primo gioco.

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