La Filosofia di Resident Evil 3


Finito a livello Normale, una run puramente conoscitiva rispetto a quello che il gioco ha da offrire. E sì, il counter delle ore mostra 6 ore ma nulla che spaventi, poche ore di questo gioco sono più significative di 50 all’interno di qualche open world dozzinale. Credo sia il modo migliore per approcciarsi mentalmente a questo RE3R, in particolar modo per quelli che lo scorso anno hanno gridato al capolavoro per il remake del secondo episodio. Questo gioco non ambisce alla ridefinizione, non punta a ritagliarsi uno spazio all’interno della storia dei videogiochi. Non vuole più gloria né riconoscimenti che vadano oltre il semplice divertimento e la tridimensionalizzazione narrativa di quella celebre notte a Raccoon City. È una costola presa e fatta sviluppare come organismo proprio e dotato di dignità.

E appunto non è un problema, anzi. Il grande pregio di RE3R è la filosofia complementare a quanto esperito lo scorso anno giocando a RE2R. Quello era un survival horror vero e proprio, soprattutto se giocato a livelli di difficoltà superiori. Risorse limitate e mappatura mentale degli ambienti per schivare, scappare, pianificare, improvvisare, la vera meccanica enigmistica del titolo, ma sorta di partita a scacchi con costi e benefici.
Ecco, chi abbia in mente questo modello nobilissimo potrebbe rimanere scottato da RE3R però sarebbe ingiusto. Potremmo parlare di un action-survival in cui gli elementi di sopravvivenza e di incertezza vengono ridotti di frequenza e importanza per allestire un titolo tiratissimo, senza momenti morti e pieno di variabili interessanti. Sono 5-6 ore, sì, ma sono proiettate in avanti, senza indugi e senza tentennamenti. Ci si sono luoghi che richiedono di girare lì intorno per risolvere spiacevoli incombenze legate a porte da aprire e oggetti-chiave da trovare ma il gioco ama non attardarsi. E detta un ritmo forsennato.


Non si esplora troppo quindi, la strada è sovente una, chiara e scandita. Non sono presenti troppi enigmi cervellotici, anche la maggior parte è relegata a stanze limitate di cui si diceva prima per spezzare l’azione. RE3R può davvero sembrare il fratello minore della saga, come probabilmente lo era 20 anni fa. E magari è vero, io stesso ho voluto provare questo titolo contro le brutte sensazioni e le prime recensioni tiepide. Il fatto è che credo molto in Capcom, soprattutto quella degli ultimi anni, capace di capitalizzare su franchise noti grazie a una benedetta revisione di contenuti ed estetica. Questo è dire che dopo il remake integrale dello scorso anno questo titolo necessitava di una natura del tutto diversa. Quindi un confronto diretto con il predecessore è senz’altro naturale e tutto sommato anche giusto.

Ed essendo io molto attratto e mio agio con declinazioni più action e prestazionali, alla fine di questa esperienza, (da ripetere più avanti a un grado di sfida superiore), ho apprezzato RE3R in un modo peculiare. Forse perché più assimilabile a un gioco arcade teso e galvanizzante, con un turbinio di nemici e situazioni da risolvere sparando e distruggendo. Forse perché i suoi personaggi sono bidimensionalmente stupendi. Forse perché è profondo senza essere pesante. E forse perché si presta a una gioiosa rigiocabilità. Ha qualcosa degli anni ’80 questo gioco, una sorta di frullatore di un pugno di pellicole che ha caratterizzato quel decennio. Si vede già in Jill, donna di inusitata bellezza (peccato il nasone alla Glenn Close ma in Capcom tra Trish, Lady e compagnia hanno un brutto rapporto coi nasi!), la figura della poliziotta fisicata e cazzuta che non si spaventa per la minaccia ma minaccia a sua volta e affronta la situazione come una novella Ripley. E del comprimario etnico e sexy Carlos, da caratterizzare con due schermate e due battute per essere già convincente e risolvere situazioni spinose. E Nemesis, in cui possiamo trovare un po’ la summa della cinematografia di James Cameron, terminator implacabile da un lato e xenomorfo di Aliens dall’altra. E in effetti, a momenti e a fasi diversi, è proprio Aliens Scontro Finale il film più citato dal gioco, con precise citazioni.


Nemesis è davvero l’aspetto più controverso di questo gioco. Memori di Mister X e della (parziale) operazione che ha visto svellere i pattern comportamentali e deambulativi era lecito aspettarsi, da un gioco basato sul concetto di caccia e fuga, un incremento esponenziale del principio di aleatorietà. Chi non ha favoleggiato di una città totalmente percorribile con un nemico implacabile e risoluto, una nemesi appunto, capace di sbucare fuori senza limiti, schermi e barriere tipiche del videogioco? Se certe cose non sono state possibili anni fa sarebbe lecito aspettarsele dopo 4 generazioni di console e incremento del calcolo computazionale. In special modo nell’era dell’open world.
Beh, è un po’ il contrario. Nemesis è una presenza sì costante ma di fatto è il filo rosso che unisce le ambientazioni del titolo e che ne punteggia le diverse fasi. Si comprende dalle sue apparizioni, in cui il giocatore è chiamato a districarsi tra sequenze calcolate e misurate per essere spettacolari, nel tentativo di comprenderne i trigger nodali e risolvere il tutto in modo palesemente scriptato. Beh, il problema è che la mia amata Capcom non è Naughty Dog e manco qualcuno di un po’ più giù, per cui questi disimpegni hanno un sapore un po’ retrò da quicktime event un filo più interattivo ma ugualmente rigido. Diverso è quando lo stesso Nemesis di presenta in precisi momenti della storia in arene più circolari e con un’attrezzatura esponenzialmente più letale. Si tratta di momenti galvanizzanti e molto superiori al modello precedente di boss che caratterizzava RE2R. Oltre a questo, altre creature più o meno mostruose si pongono tra Jill e la salvezza e davvero qui il gioco dà il meglio di sé.


In questa temperie il gioco non lesina di far divertire il giocatore in un modo diverso. Munizioni in quantità, armi particolari e potenziabili, strumenti d’ingaggio diversi e strumenti situazionisti per far esplodere la situazione nel peggior modo possibile ed ottenere l’effetto più cinematograficamente pregno. Praticamente gli zombie sono la cosa più tranquilla che possa capitare e devo dire che il gioco non ci fa neanche troppo affidamento. Invece ci sono delle piacevoli variazioni sul tema “mostro mutante”, dalla taglia piccola alla grande. E alcuni graditi ritorni del bestiario tipico della saga. La differenziazione con il passato si comprende nel momento in cui il gioco tende a incentivare la lotta, lo scontro a viso aperto. Non s’innesta nella tradizione di Resident Evil 4, il suo DNA proviene dal remake del 2, eppure ha una filosofia più militare e votata alla rimozione del nemico quanto e ove possibile.


Con coinvolgimento e divertimento, io trovo che questa riproposizione capcomiana della serie stia producendo una serie di giochi perfettamente a fuoco e assolutamente necessaria alla corrente generazione videoludica. Ritengo che non sia solo un sentiero da esplorare proficuo e meritevole di attenzione ma che debba essere continuamente battuto con nuove prospettive tecniche. Nel passato ci sono molte cose da recuperare e mi riferisco soprattutto a quelle esperienze non perfettamente compiute che meriterebbero un trattamento rinvigorente al pari del qui presente RE3R, il cui gioco originario, in effetti, era un po’ un incompiuto, nonostante fosse dotato di qualità e intuizioni non da poco. E il recupero integrale di queste preziosità, considerate in senso orizzontale per nuova estensione e verticale per incremento tecnologico, non possono che proporre all’attenzione contemporanea alcune stagioni che hanno reso un grande servizio al videogioco.


Mi rendo conto che una riflessione di questo genere potrebbe minare alla base il presupposto di ogni pulsione artistica, vale a dire la creatività. In effetti ricorrere al passato per ripresentarlo in modo diverso è davvero il modo migliore per denunciare una radicale crisi di idee e penurie di stimoli. E sarebbe vero. Se non sbaglio però, Capcom si sta muovendo in due distinti modi, a sottolineare come la creatività in sé consista sempre nell’ispirazione del passato e dalla ricerca dell’innovazione. Da una parte abbiamo questa attualizzazione del franchise alla luce della rivoluzione di RE4 ma conservando lo spirito da survival. RE2R è stato davvero un bel gioco e questo RE3R non è stato da meno, nella sua piccola specificità. Adesso toccherebbe a Code Veronica, un gioco per me piuttosto irrisolto all’epoca, a metà tra mondi non ancora perfettamente conciliati. Sarebbe una bella sfida per Capcom, quel titolo avrebbe bisogno di una rivisitazione. Dall’altra abbiamo una sperimentazione che lega classico e radice stessa dell’horror con esperienza soggettiva e personale, RE7 (mai troppo lodato per me, soprattutto in VR) e il prossimo 8 che sembra muoversi nello stesso solco.
Ma a questa Capcom, tutta gameplay, divertimento e grazie estetica, non si può che tributare tutto il plauso possibile e fiducia incondizionata per il futuro.

Quindi RE3R andrebbe comprato. Al primo abbassamento di prezzo però.


Il Gladiatore

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