SPECIALE - Zelda: Skyward Sword VS A Link Between Worlds - PARTE 1

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La trattazione che segue è un lavoro unitario scisso in due parti unicamente al fine di alleggerire una lettura altrimenti troppo esigente in termini di tempo e sforzi richiesti al fruitore, anche in ragione dei tanti punti di game design passati al vaglio critico. Ci auguriamo gradiate la scelta ed il pezzo. 
Buona lettura.


In questa settimana tutta zeldiana é giunto il momento di mettere a confronto le ultime due incarnazioni della saga principale, riaprendo, contestualmente, quel discorso a proposito del senso degli adventure e delle suggestioni offerte da un mondo liberamente esplorabile e scopribile, rimasto in sospeso dai tempi dell'articolo che scrisse Gladiatore a proposito di The Wind Waker HD.

Perché proprio Skyward Sword e A Link Between Worlds (rispettivamente SS e ALBW da qui in poi)? Perché entrambi hanno a loro modo tentato un'operazione di rinnovamento della saga, entrambi sono nati come reazione al gioco che li ha preceduti ed entrambi, nel confrontarsi con alcuni dogmi della saga, hanno scatenato le ire di fazioni tra loro opposte di fan.

Partiamo dal primo dei due giochi ad aver visto la luce sul mercato.

Skyward Sword è nato come naturale reazione alle critiche ricevute da Twilight Princess: gli obiettivi del team capitanato da Hidemaro Fujibayashi (ma in sostanza sempre sotto il rigido indirizzo del producer Eiji Aonuma) sono stati l’ammodernamento delle meccaniche dopo un capitolo pigramente adagiato sugli allori di Ocarina of Time, il riempimento di un overworld ancora poco denso di interazioni ed e una maggiore continuità per l'uso dei gadget, evitandone l’accantonamento al termine del dungeon dedicatogli.
L’implementazione del Motion Plus avrebbe poi, in teoria, dovuto portare le varie interazioni e soprattutto il combattimento allo step evolutivo successivo. Con quali risultati?
Per la faccenda relativa ai gadget é stato sufficiente un level design più accorto, che tenesse maggiormente conto di tutti gli strumenti progressivamente concessi al giocatore, tutto il resto é invece questione assai meno pacifica.

Per riempire l'overworld di Skyword Sword, si è optato per la labirintizzazione dello stesso, stringendolo attorno al giocatore, rinunciando alle suggestioni di un più arioso sviluppo paesaggistico.
In questo mondo a budelli allargati filo-metroidiani si è poi inserito in misura massiva il core ludico di ciò che ha dominato negli Zelda degli ultimi quindici anni, ossia il puzzle solving dei dungeon. Il risultato è stato una maggiore continuità nel gameplay tra i due ambienti di gioco, con l’overworld tramutato, per la prima volta nel corso 3D della saga, in un dungeon a cielo aperto, non tuttavia senza una serie di nefasti effetti collaterali.

Rinunciando al ciclo giorno-notte (e ai risvolti ludici che questo comportava) e alla costruzione di ambienti abbraccianti fini estetici di rilievo si è lesinato sul sense of wonder,  senza contestualmente assicurare quella problematicità garantita da un’unitaria e complessa mappa metroidiana. L’avanzamento è sempre subordinato al reperimento di gadget che aprono ad aree precedentemente precluse ma il mondo di gioco è costruito in maniera piuttosto cheap, non si tratta più infatti di un overworld unitario, ma di tre mini-overworld, cioè di tre macro-regioni compartimentate, scollegate, cui si accede dal macro-hub costituito da Skyloft. Quest’ultimo, inoltre, non può in alcun modo dirsi il corrispettivo iperuranico dell’oceano di WW.

2011: l'overworld compartimentato di Skyward Sword

1987: l'intricato overworld unificato del primo Zelda

Portando il gameplay tipico dei dungeon anche all’esterno si è inoltre spinta alle estreme conseguenze una ricetta di gioco già tanto linearizzata da Ocarina of Time in poi e la si è appiattita. Avere a che fare col puzzle solving, a meno che lo stesso non poggi su di un modello fisico coerente e sfruttabile dal giocatore anche mediante ricorso al pensiero laterale (Valve docet), significa 9/10 volte avere a che fare con puzzle mono-soluzione, senza margine alcuno per la discrezionalità del giocatore.

Capite bene cosa accade quando questo modello è esasperato su tutti i piani di fruizione del titolo: i dungeon pullulano di puzzle, l’esterno idem, le occasionali sezioni stealth sono dei (brutti) puzzle, le tante (troppe) fetch quest comportano la risoluzione di un puzzle, l’overworld è esso stesso un puzzle le cui tessere mano a mano si disvelano ed incastrano con le facoltà da noi acquisite, e persino i combattimenti, solo marginalmente action, sono dei puzzle in cui individuare il punto debole di turno ed esporlo col previsto gadget.

Puzzle, puzzle, puzzle…! Zelda diviene con questo episodio un pachidermico puzzle game rigidamente ancorato ad una successione ben precisa di azioni fissate dallo script.

Non fraintendete, sono ben conscio di come il puzzle solving abbia da sempre fatto parte del DNA della saga, ma la sua implementazione nel primissimo The Legend of Zelda era ben più sottile e non cozzava mai con la libertà spettante ad un avventuriero. Era tutto lì, tutto a disposizione fin da subito al giocatore in quell’avveniristico overworld, si trattava solo di selezionare le tessere e cercare di incastrarle forti delle proprie capacità e delle scoperte fino a quel momento fatte, salvo in caso di imperizia esecutiva tentare altri approcci o destinazioni.

Di capitolo in capitolo il puzzle solving ha sempre più preso il sopravvento, fino ad un Ocarina of Time già tanto distante dalla genesi del franchise ma giustificato dalle oggettive difficoltà del tempo circa il riprodurre in 3D il concept di TLoZ così estremamente open. OoT era inoltre bene attento a soppesare la regressione strutturale con tutti i vantaggi delle 3 dimensioni, come la costruzione di landscapes immersivi sul fronte visivo e, per ciò concerne la parte ludica, lo sviluppo lungo i tre assi dimensionali dell’esplorazione e dell’enigmistica ambientale.

Quest’ultimo è al tempo dell’uscita di SS risultato ormai assodato e potenziato da decine e decine di vg, non può pertanto bastare, a maggior ragione a fronte dell’anacronistico irrigidimento del gioco nell’era in cui si riscopre il piacere dell’agire discrezionale (Deus Ex: Human Revolution, Dishonored e, in altri modi, Dark Souls).



Il fascino del risolvere un puzzle sta tutto nel riuscire, a mezzo dello spirito di osservazione e del proprio ordine mentale, a ricomporre un qualcosa di decostruito. Con SS Aonuma e soci hanno creduto di farci sentire maggiormente nei panni di un avventuriero esasperando concettualmente e quantitativamente la loro ricetta di puzzle solving, ma di fatto siamo stati ancorati ad una rigida sequenza di azioni da compiere, non abbiamo mai registrato progressi secondo un personale ordine mentale, non abbiamo mai discrezionalmente accostato via via le tessere; piuttosto, ci siamo limitati a scoprire un ordine ricompositivo già rigidamente segnato da qualcun altro, da dietro le quinte.
La scoperta in SS è marginale: certo siamo ancora osservatori ma per lo più esecutori, non c’è premio per un’intuizione anticipata, per un npc rinvenuto. “Ripassa più tardi ora non c’è niente per te”: è questo, parafrasando, il messaggio più volte sbattutoci in faccia da un gioco che, rinnegando gli ultimi rantoli di una tradizione venticinquennale, ci ha sostanzialmente privati del ruolo di avventurieri.

La mia potrebbe sembrarvi una sentita battaglia ideologica, un intentato e teatrale processo alle intenzioni, e sì, in parte lo è, ma non si tratta solo di questo; il mio disappunto e la linea argomentativa che deriva muovono innanzitutto dalle modalità attuative di questa discutibilissima direzione di game design.

La questione è da porsi nei seguenti termini: vuoi fare un puzzle game travestito da adventure di trenta e più ore? Vuoi pensionare anche l’illusoria sensazione di libertà restituita dagli ultimi capitoli del franchise? Bene, devi avere argomenti forti per convincermi della bontà di questa operazione, devi avere idee solide su cui costruire i tuoi puzzle e, con riferimento a questi ultimi, devi avere almeno una meccanica centrale interessante e caratterizzante se vuoi che il tuo gioco conservi efficacia intrattenitiva per tutto il tempo demandato al fruitore.

Il Wiimote ed il Motion Plus a conti fatti non hanno cambiato il modo di ragionare sui puzzle, solo i gesti esecutivi per completarli; si è puntato sull’effetto “wow” della gimmick di turno più che sulla grande idea, il risultato è che spesso ci si trascina stanchi da una sezione all’altra senza che la materia grigia sia mai stata messa davvero alla prova.

Conservo ammirazione e ricordi di comprovato ingegno per la sola Terra di Raniel, la sola delle tre macro-aree graziata dal level design accademico che ci si aspetterebbe da Nintendo, la sola che abbia in effetti intavolato con convinzione un preciso disegno enigmistico, flettendolo con ingegno ad ogni applicazione.
Mi riferisco chiaramente alla meccanica delle pietre del tempo il cui spostamento determinava la regressione dello spazio circostante ad un’era lontana, con tutti i mutamenti e le conseguenze del caso.


Per il resto la creatività è latitata (come testimoniano le troppe sezioni filler allunga brodo ed il massivo riciclo ambientale e situazionale) e l’hand-holding ha drasticamente superato la soglia del tollerabile.

Ecco, consentitemi una parentesi su quest’ultima faccenda: nessuno cerca a tutti i costi nella contemporanea Nintendo il coraggio di prendere l’utenza a calci nei denti a suon di sfida (anche se certe dimostrazioni in campo platform...), ma quando hai appresso una compagna guida ancor più inopportuna e logorroica di Navi, pronta ad ammorbarti con banalità, a spoilerarti senza che tu l’abbia interpellata la soluzione di taluni enigmi (chi si ricorda lo spoilerone che arriva proprio nel corso della prima visita alla Terra di Raniel, praticamente alle porte di un dungeon?) e cut-scene pronte ad imboccarti e metterti direttamente in mano le canzoni da eseguire con lo strumento musicale del gioco (pessima l’arpa, scriptatissimi e puramente occasionali gli usi, dimenticabili le song eseguite… Ocarina si rivolta nella tomba!), è difficile non accusare disturbo, non rimpiangere i bei tempi andati e contestualmente ringraziare From Software di esistere.

Per carità, c’è del buono, i dungeon nella loro semplicità strutturale sono comunque interessanti, il level design degli esterni mai inferiore agli ahimè abbassatisi standard del genere, alcuni boss sinceramente pregevoli. Il combat system, infine, è risultato effettivamente svecchiato, da il meglio di se nei duelli con Ghiraim e, nonostante le mille incertezze del Wiimote, regge bene per le prime ore di gioco, fintanto che la Master Sword non è ancora sgravata come sarà poi nel prosieguo e finché weak spots e pattern avversari non sono ancora tutti noti.

Abbastanza per parlare di un buon gioco? Forse. Decisamente troppo poco per parlare invece di un buono Zelda, tanti i limiti e i compromessi discussi per un gioco che si è fatto attendere molti anni, beneficiando peraltro di costi di produzione abbattuti dalla pochezza tecnica, dal riciclo dell’engine e da controlli belli che confezionati da Wii Sports Resort. Questi ultimi, oltretutto, non hanno spostato l’ago della bilancia a favore di un giudizio di assoluzione considerato quanto con essi si sia guadagnato e quanto sia invece andato perduto (imprecisioni a go go, puntatore da ricalibrare ogni tre per due, telecamera non più ruotabile che riporta indietro le lancette del tempo all’era N64, controlli per il nuoto tremendamente più farraginosi).

Questo accadeva a novembre 2011. Due anni più tardi come progetto di reazione a SS sarebbe giunto sugli scaffali ALBW.

To be continued...



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