Quando si parla del genere stealth la prima cosa che viene in mente è Metal Gear Solid, il colosso Konami che da sempre calca la mano sull’infiltrazione. Quel “Tactical Espionage Action” in copertina ancora oggi fa sbavare milioni di giocatori, ben consapevoli di cosa li aspetta in questo genere ormai consolidato: lunghi silenzi, ansia mentre si
tiene un basso profilo e tante scelte strategiche su come approcciarsi ad una determinata situazione.
Nel 2002 però l’occidente provò una piccola sfida. La talentuosa Ubisoft portò timidamente sugli scaffali quello che all’epoca fu considerato il diretto rivale di Solid Snake, un gioco capace di affrontare un gigante immenso e storicamente di grande successo, ormai saldamente presente nella memoria dei videogiocatori.
Esce così Tom Clancy’s Splinter Cell, uno stealth purissimo tutto occidentale, sceneggiato da un grande scrittore di romanzi e forte di un protagonista letale e carismatico.
Le differenze di stile si notano subito. Se in Metal Gear Solid ci sono coni visivi ben segnalati e la telecamera riprende le azioni dall’alto, in Splinter Cell c’è una visuale libera in terza persona e niente che segnali il campo visivo dei nemici. Se Kojima permetteva a Snake di portarsi dietro cartoni, spray, quintali di armi e lanciarazzi, Ubisoft porta sugli schermi un personaggio umano con equipaggiamenti limitati e tutti ben visibili sul modello poligonale.
Due giochi stealth dall’ideologia completamente opposta. Splinter Cell spostava la lancetta sul realismo più estremo, trascurando il lato narrativo e concentrandosi unicamente sul gameplay più puro e privo di contaminazioni da altri media.
L’ambientazione di Splinter Cell è moderna e credibile. Sam Fisher, il nostro protagonista, non è altro che un agente segreto della NSA, organizzazione segreta capitanata da Third Echelon e impegnata nel mandare cellule fantasma in varie parti del globo, pronte a sventare le più grandi minacce terroristiche del nostro pianeta. Una fantapolitica vicinissima a noi, che stupiva il giocatore grazie ad un’ottima varietà di scenari perfetti per storie di questo genere, quali ad esempio l’ambasciata cinese, il palazzo presidenziale e molto altro.
La struttura base su cui poggia tutto lo stealth di Splinter Cell è l’oscurità. Il leggendario Thief è forse il lavoro che più ha influenzato il team di sviluppo francese. L’HUD è chiarissimo fin dalla prima occhiata, l’indicatore della condizione di luminosità in cui Sam si trova è la principale risorsa del giocatore per non farsi scoprire dal nemico: a sinistra significa vita, a destra significa morte.
Ad un solo tasto è affidata invece l’animazione da occultamento. Come accade in Tenchu, abbassarsi e appiattirsi contro le pareti è fondamentale per non allertare l’attenzione nemica.
Altro fattore importante del gameplay è il silenzio. Come nella realtà, qualsiasi passo, qualsiasi salto o sparo, produce un rumore ben percepibile dall’IA. Bisogna quindi spostare il nostro agente infiltrato con cautela, facendo attenzione anche al tipo di pavimento sotto i nostri piedi. Ad ogni materiale corrisponde un diverso livello di rumorosità e di conseguenza un diverso tipo di allerta nemica.
La maggiore profondità è però data dal level design e le possibilità interazione con esso. Le fonti di luce sono quasi tutte distruttibili e l’ambiente di gioco non è solo un mezzo per posizionare nemici, bensì parte integrante del gameplay stesso.
Se una stanza è troppo luminosa e all’interno tre nemici sono intenti a dialogare, si può scegliere di sparare alle luci e giocare con il loro stato di panico. Se un nemico non si sposta dal corridoio che dobbiamo attraversare, possiamo prendere una bottiglia e lanciarla dietro di lui portandolo a pattugliare un’area totalmente diversa. Se un nemico è in una posizione elevata possiamo scegliere di colpirlo da lontano usando un fucile da cecchino oppure sfruttare le scale ucciderlo silenziosamente alle spalle.
Anche le animazioni del protagonista sono ottime: è possibile infatti saltare e arrampicarsi su una buona varietà di strutture, prendere copertura e sparare da dietro di essa, scalare pali, tubi, scale e oggetti di media grandezza. Si può addirittura mirare mentre si è appesi e uccidere dall’alto. Storica ormai la spaccata tra due pareti, utile sia per portarci in un posto dove i nemici difficilmente ci scorgeranno, sia per colpirli più facilmente con un letale attacco dall’alto.
Soluzioni di gameplay forti, accompagnate da musiche sempre capaci di aumentare l’adrenalina del giocatore, immergono in situazioni sempre vive e realistiche, senza indicazioni che tengano per mano il giocatore o lo aiutino a superare con facilità i punti più ostici.
Il nostro unico contatto con altri personaggi alleati è l’auricolare di Sam, che capta in tempo reale informazioni dalla sua squadra nei punti cardine del livello, senza le interruzioni di gameplay dovute a filmati o comunicazioni via Codec di un Metal Gear Solid.
Le armi sono un altro punto cardine per la scelta della strategia di approccio. Abbiamo infatti in dotazione solo due armi principali, a cui va aggiunta una grande mole di gadget utilizzabili. La pistola silenziata è l’arma perfetta per sparare alle luci senza fare troppo rumore, il fucile multi funzione invece va utilizzato solo come ultima risorsa nel momento in cui l’approccio silenzioso dovesse aver fallito.
Disponibili anche grimaldelli e cavi per scrutare sotto le porte, utili sia per avanzare nel livello che per proseguire in modo più cauto e sicuro all’interno del mondo di gioco.
Il sistema per mirare e utilizzare i gadget è molto diverso da quello a cui siamo abituati oggi. La mira è infatti affidata ad un solo tasto: premendolo la telecamera si avvicina alle spalle di Sam per garantire una maggiore accuratezza ma, nonostante la mobilità fosse buona per l’epoca, le animazioni di entrata ed uscita piuttosto lunghe non favoriscono di certo l’approccio TPS.
Le sparatorie da affrontare obbligatoriamente non sono moltissime, però rimangono abbozzate e talvolta frustranti a causa di una serie di problemi legati soprattutto alla poca leggibilità dei colpi di arma da fuoco nemici. Il loro comportamento durante queste fasi è banale e statico, inoltre uscire anche solo di un centimetro fuori da una copertura significa game over istantaneo senza avere alcuna possibilità di reazione. Bisogna quindi anticiparli sul tempo e sfruttare il quicksave in modo non sempre onesto ma necessario per non ripetere lunghe e frustranti sessioni.
L’ultima grande risorsa a disposizione del giocatore è il visore iconico dalle tre luci verdi indossato da Sam. Oltre ad essere un marchio di fabbrica della serie, si tratta a tutti gli effetti di un’arma, grazie alla sua duplice funzione.
Il visore notturno permette di vedere in qualsiasi zona d’ombra. Non parliamo di semplici scelte stilistiche: l’illuminazione utilizzata negli scenari è realmente troppo scura per i nostri occhi. Se il nemico non ci vede, nemmeno noi possiamo fare altrettanto senza utilizzare questo visore.
L’altra funzionalità è quella del visore termico, da utilizzare meno frequentemente, ma comunque utile in sporadici punti del gioco. Grazie ad essa è possibile vedere i nemici attraverso elementi che causano scarsa visibilità come il fumo, rivelandosi la carta vincente per sopravvivere durante gli scontri a fuoco più impegnativi.
Tutti questi mezzi aiutano a sopravvivere nelle varie location del gioco. Parliamo di livelli aventi obiettivi molto classici e lineari, come ad esempio superare zone piene di nemici, entrare in complessi ostili o collegarsi ai computer più segreti del globo, per citare alcuni dei più comuni.
Anche gli allarmi giocano un ruolo fondamentale all’interno del gioco, in quanto non appena i nemici saranno consci della nostra presenza si dirigeranno subito verso il pannello di allarme più vicino, portando addirittura alla fine della missione in alcuni dei livelli del gioco.
Parliamo dunque di un gioco fortemente punitivo, che non perdona errori. Anche il corpo a corpo richiede un’esecuzione millimetrica e si rivela inutile in caso di avvistamento. Lo shooting non perdona disattenzioni e spesso si rivela troppo casuale per quanto riguarda i danni inferti ai nemici. Nascondere i corpi al buio e agire totalmente di soppiatto rappresenta quindi l’opzione migliore per un buon 90% del gioco, se si vuole portare a termine la missione
Graficamente il lavoro svolto nel 2002 è stato eccezionale. Scenari ricchi e dall’illuminazione verosimile sono senz’altro i punti di forza maggiore dell’intera produzione. Il design dei livelli, seppur ancora troppo lineari nei primi capitoli, è sempre vario e alcuni effetti non passavano di certo inosservati.
I difetti tecnici maggiori risiedono nelle compenetrazioni. Fa un po’ sorridere il fatto che i nemici che appoggiamo nei lati oscuri dei corridoi entrino all’interno dei muri per quasi metà busto. Legnose e pessime pure le pochissime cut-scene del gioco. Ottimi invece i vari filmati in CG, almeno se visti su tubo catodico. Purtroppo la recente riedizione in HD li ha mantenuti alla risoluzione originale, rendendoli inguardabili su qualunque televisore moderno.
Nonostante questi piccoli difetti di gioventù Splinter Cell resta uno dei migliori stealth game occidentali. Non prova neanche a competere con Kojima per quanto riguarda la narrativa, le sezioni di shooting puro sono frustranti e ingiuste, ma riesce comunque ad eccellere grazie ad un gameplay puro basato sul realismo e la necessità di rimanere in silenzio e nascondersi tra le ombre.
Una base ottima, da cui è partito un grandissimo franchise costellato da seguiti che ne hanno aumentato la stabilità, corretto i piccoli difetti tecnici e potenziato il reparto delle azioni eseguibili del protagonista, reso più umano ed emotivo, ottenendo negli anni una sempre maggiore visibilità e divenendo così un altro simbolo del genere stealth.
Pandora Tomorrow, il suo seguito diretto, cominciava già a migliorare il reparto animazioni del titolo. Venne integrata la modalità SWAT, ovvero un cambio di coperture automatico in spazi ristretti. La spaccata risulta ridimensionata, sostituita da una doppia spaccata che funge più da animazione per raggiungere un punto più elevato, piuttosto che da arma tattica.
Una novità importante è il fischio per attirare i nemici, abilità che sarà presente in tutti i futuri capitoli della serie. Viene aggiunta anche la possibilità di aprire le porte mentre si trasporta un cadavere, mancanza che si faceva sentire molto nel primo capitolo. Niente male l'ambientazione invece, che mischia le classiche strutture urbane a scenari ricchi di vegetazione davvero ben ricostruita. Un seguito che non sconvolge di molto la formula, non molto longevo e con una struttura di missioni ancora troppo lineare per la saga.
La vera maturità del brand arrivò infatti con il terzo capitolo, Chaos Theory, vero e proprio punto di svolta a partire dalle basi del gameplay.
Al primo impatto non pare neanche riconducibile alla saga di appartenenza, sia visivamente che ludicamente. Le animazione furono riscritte. Sam assume movenze davvero ricche e credibili, cammina all’indietro con passi felpati degni di un predatore della foresta e cambia l’approccio con i nemici.
Viene introdotto infatti un sistema di KO che si divide in letale e non letale. Il giocatore non è quindi limitato soltanto all’afferrare i nemici oppure stordirli con un sistema di corpo a corpo irritante. Può scegliere di uccidere o salvare un avversario, il tutto con due semplici tasti che fanno partire un’animazione precisa e letale.
Maggiore importanza è stata data pure agli interrogatori, presenti in gran numero, utilissimi in termini di gameplay. Ogni nemico non eliminato immediatamente è una conquista, perché può rivelare informazioni preziose per il raggiungimento degli obiettivi.
Sono presenti anche piccoli inserti ironici verso il mondo dei videogame, che vanno da chicche metareferenziali (“Sam mica siamo in un videogame?”) a vera e propria pubblicità Ubisoft (due nemici nel gioco parlano di un certo videogame bellissimo chiamato Prince of Persia) fino ad arrivare a riferimenti ad altri giochi abbastanza famosi (“che vuoi fare, scuotermi per prendere munizioni?”).
L’HUD ottiene funzionalità nuove grazie all’indicatore del rumore, features tattica utilissima in molte circostanze. Puoi muoverti liberamente se c’è un suono ambientale più forte dei tuoi passi, devi strisciare silenziosamente se attorno a te c’è il silenzio assoluto.
L’interazione con le fonti luce viene ulteriormente approfondita. La pistola è munita di un OCP che disabilità temporaneamente quasi tutte le fonti di luce primarie, utile sia come arma che come tattica stealth.
Modifiche sostanziose pure alla componente TPS. Il tasto per mirare si sposta, risultando più comodo e rapido nell’entrata e uscita. Il cambio spalla e l’entrata in copertura sono decisamente più fluide, un miglioramento sostanziale rispetto alla vecchia formula.
La novità più grande, il vero punto di svolta, però è legato al level design. Si abbandona la linearità dei primi capitoli e gli scenari diventano decisamente più ampi. È possibile raggiungere la destinazione in più modi e gli obiettivi secondari in tempo reale rendono tutto più avvincente e ricco di possibilità. Un vero gioiello, maturato nel gameplay e nel level design, uno Splinter Cell finalmente rifinito.
Lo sbarco su Next-Gen arrivò con non pochi problemi. In primis bisognava portare su schermo qualcosa di nuovo. Tre capitoli cominciavano ad essere tanti e i fan erano sempre più esigenti di novità. Fu in questo contesto che arrivò Double Agent.
Una bomba su console Microsoft e PC, una versione diversissima su PS2 e un’infelice porting per la sfortunata (almeno al tempo) PS3.
Versioni tra alti e bassi quindi, che non precludono però a questo quarto capitolo di essere considerato uno dei migliori della serie, forte di un gameplay si stanco, ma che riusciva a portare una svolta notevole nella sceneggiatura.
Un capitolo con molto più “cuore” degli altri. Sam è un uomo disturbato, lavora sotto copertura, fa il triplo gioco, collaborando da una parte con la sua società antiterroristica e dall’altra con i terroristi stessi. Eventi molto importanti e rischiosi che trasformano il duro dei primi capitoli in un uomo, e i sentimenti verso una figlia, solo accennata e vista di sfuggita nei primi tre episodi, vengono alla luce. Un nuovo tassello importante nella vita dello stealth Ubisoft.
Come purtroppo accade spesso nel nostro media preferito, non sono mancati i passi falsi nemmeno nella storia di Splinter Cell. Oltre al pessimo e inutile capitolo per Play Station Portable, arriva pure un’esclusiva Xbox 360 che ha letteralmente diviso gli animi. Una bella storia costellata però di pessime scelte di game design, troppo automatico, troppo semplice, troppo castrato rispetto alla gloria indiscussa dei primi capitoli. Un Conviction che non riesce a convincere nemmeno Ubisoft, pronta ad ascoltare i feed degli utenti in vista del seguito, che avrà il duro compito di far dimenticare ai fan della serie questo scivolone.
La risposta si chiama Blacklist, un gioco tutto nuovo (di cui parleremo nell’In Depth della prossima settimana), che riesce in parte, nell’intento di accontentare due fette di pubblico completamente opposte: i fan dello stealth game e i fan del TPS moderno, meno pazienti e più desiderosi della classica azione frenetica.
In definitiva, consiglio una visita ai primi capitoli per tutti i fan del genere o magari a quelle persone che al tempo non sono riuscite a giocarsi almeno un paio di avventure di Sam Fisher. Una vera e propria pietra miliare del genere, che affronta a viso aperto il figlio di Kojima, ma lo fa sfruttando un approccio decisamente più realistico. Mossa come sempre ben accetta dal sottoscritto quando si parla di un media come quello dei videogame. Spegnete le luci e godetevi questa grande interpretazione del genere.
3 Commenti
Una gran saga indubbiamente, che punta tutto sul gameplay. I primi 3 capitoli sono stupendi, e chaos theory è un punto altissimo del genere: un Sam più dinamico, con novità interessanti, level design superbo e più aperto oltre che con un insolito e affascinante gusto artistico nelle ambientazioni (cone dimenticare il faro, la banca, il complesso giapponese). Un gioco bello da vedere e da giocare, veramente un must indiscusso. Per me il double agent è stato il vero passo falso e il punto più basso della saga (devo valutare conviction e blacklist però) giocato su ps3, level design pessimo, more of the same totale, niente innovazioni, backtracking esagerato nei libelli al quartier generale, pessime situazioni da stealth, frame rate scandaloso: per me un capitolo saltabile e che non sa dove andare a parare (solo un pelo meglio nella narrativa). Aspetto l'in depth su blacklist dato che l'opinione comune è che sia un ottimo capitolo (e questo mi fa piacere) di una saga di spicco per il genere, dalle meccaniche davvero mai banali
RispondiEliminaCalcola però che hai giocato la versione peggiore. Per me pure quella ps2 è superiore.
EliminaSu 360 invece è stato fatto il lavoro migliore.
Sull'innovazione non concordo visto che è stato l'unico capitolo in cui le scelte hanno un determinato peso durante l'esperienza. Narrativamente infatti è il capitolo più curato.
In Blacklist invece trovi le innovazioni maggiori, visto che comunque è un capitolo dalle meccaniche completamente aggiornate.
Purtroppo si mi son beccato la versione peggiore, però proprio strutturalmente mi ha ammorbato dall'inizio alla fine, così poco brillante anche nel level design, poi le sezioni di backtracking a tempo limitato, magari è anche vero che il mio giudizio non è il massimo dell'obiettività perchè mi ha fatto una così brutta impressione che solo a ripensarci mi fa salire la rabbia, sarà che viene dopo un Chaos Theory troppo eccellente che già aveva dato tutto.
EliminaSulle innovazioni legate alle scelte narrative sono anche d'accordo, però è un 'piccolo passetto in avanti', mentre di innovazioni nel gameplay (quelle che mi sarebbero interessate) neanche l'ombra a parte forse un aggiornamento del minigioco di aggiramento. Ben venga Blacklist che , da quello che ho capito, si è riaggiornato così tanto da sembrare (dai video) totalmente diverso, molto più immediato e con uno sfruttamento ottimo delle coperture