Ormai presenza più che gradita su GMC. Questa volta ci dedica uno spunto decisamente interessante su un piccolo, grande, videogioco.
HunieCam Studio (2016) è uno spin–off di HuniePop (2015), con il quale condivide i personaggi protagonisti, ma che va a porsi in una sorta di realtà parallela e non rientra appieno nel ‘canone’ del suo predecessore. Laddove HuniePop proponeva l’unione di un dating sim e di un puzzle game, HunieCam Studio è una sorta di gestionale, di quelli in cui bisogna massimizzare il proprio punteggio entro un periodo limitato di tempo. E laddove il primo consentiva di corteggiare una serie di ragazze, nel secondo bisogna assumere le suddette fanciulle per la propria attività: un impero di cam girls volto al profitto estremo. Anche chi nel precedente episodio era una modesta e tranquilla fanciulla si trasforma qui in una disinibita star dell’eros, pronta a lanciarsi in feticistiche performance davanti a una telecamera. Questo è, pare, uno dei motivi della non canonicità di HunieCam Studio.
Non si tratta, chiaramente, di un videogioco volto a suscitare chissà quale profonda riflessione morale. Ma al tempo stesso non è nemmeno un prodotto pensato per stimolare chissà quali erotici appetiti: la grafica è minimalista, le ragazze son semplici icone in stile cartoon e solo nelle schermate di caricamento si intravede – per la bellezza di uno o due secondi – delle scenette che scandalizzerebbero al più magari qualche suora di clausura. Insomma, l’elemento erotico è più un pretesto che altro: si fosse trattato di metter davanti alla telecamera dei pizzaioli e renderli le superstar di un programma culinario il gameplay non sarebbe cambiato di molto.
Le "starters" fra cui scegliere a inizio gioco Tre, come nella migliore tradizione Pokémon |
Fatte queste premesse, vorrei spender due parole su un aspetto, piccolo e marginale, del videogioco che mi ha lasciato un senso di – diciamo pure – disagio, e ricollegarlo a una questione più generale.
Il problema cui facevo cenno giunge però a uno stadio un po’ più avanzato del gioco, quando la fatina propone un nuovo modo per aumentare il profitto attraverso soldi facili. La Kyu Sugardust ha siglato un accordo con il proprietario di un albergo nelle vicinanze, dove è possibile mandare le ragazze ad “accogliere” i clienti più esigenti e facoltosi. Il guadagno è elevato e quasi immediato, ma – come i videogiochi di questo genere insegnano – a esso si accompagna un fattore di rischio, che in questo caso è alquanto peculiare: malattie sessualmente trasmissibili. Per evitarle è necessario ottenere un preservativo (uno per volta; nel mondo di HunieCam Studio le confezioni multiple sono state forse bandite da qualche assurdo decreto legge) mandando una ragazza al negozio, ma gli oggetti ottenuti sono casuali per cui non è semplicissimo far scorta, anche perché quei viaggi servono per acquistare materiale anche più importante, ai fini del punteggio.
Alla mia prima partita, per sperimentare le varie possibilità offerte dal videogioco, ho mandato un paio di volte una delle dipendenti all’albergo. Risultato: la sifilide, che l’ha portata a non voler più posare per le sessioni fotografiche, essendo troppo imbarazzata. Il problema si è risolto acquistando dei medicinali al sopra citato negozio, e in poco tempo era guarita e pienamente operativa.
Visto che ogni partita dura un’oretta e qualcosa, terminata la prima ne ho subito iniziata una seconda. Giunto al punto in cui diventa accessibile l’albergo, sempre per sperimentare, ho mandato lì un paio di dipendenti. Risultato: una di loro ha preso l’AIDS. Malattia incurabile che, nel gioco, rende impossibile riposarsi e dunque poter compiere qualsivoglia azione dopo poco tempo.
Nulla più. Nel gioco tutto va avanti assoldando una sostituta per la ragazza ormai impossibilitata a proseguire il lavoro. Ma non ho potuto far a meno di pensare a quanto accaduto.
C’è un certo stridore fra la gioiosa rappresentazione d’insieme e la scelta di inserire malattie sessualmente trasmissibili, soprattutto se drammatiche come l’aids.
Non è nell’interesse di questa piccola riflessione, però, puntare il dito su scelte forse non proprio felici, per usar un eufemismo, ma piuttosto proporre un pensiero più propositivo, che riguarda quello che è il potenziale stesso dei videogiochi.
Alla mia prima partita, per sperimentare le varie possibilità offerte dal videogioco, ho mandato un paio di volte una delle dipendenti all’albergo. Risultato: la sifilide, che l’ha portata a non voler più posare per le sessioni fotografiche, essendo troppo imbarazzata. Il problema si è risolto acquistando dei medicinali al sopra citato negozio, e in poco tempo era guarita e pienamente operativa.
Quando una ragazza prende una malattia sessualmente trasmissibile, quest’ultima viene visualizzata in questa schermata |
Visto che ogni partita dura un’oretta e qualcosa, terminata la prima ne ho subito iniziata una seconda. Giunto al punto in cui diventa accessibile l’albergo, sempre per sperimentare, ho mandato lì un paio di dipendenti. Risultato: una di loro ha preso l’AIDS. Malattia incurabile che, nel gioco, rende impossibile riposarsi e dunque poter compiere qualsivoglia azione dopo poco tempo.
Nulla più. Nel gioco tutto va avanti assoldando una sostituta per la ragazza ormai impossibilitata a proseguire il lavoro. Ma non ho potuto far a meno di pensare a quanto accaduto.
C’è un certo stridore fra la gioiosa rappresentazione d’insieme e la scelta di inserire malattie sessualmente trasmissibili, soprattutto se drammatiche come l’aids.
Non è nell’interesse di questa piccola riflessione, però, puntare il dito su scelte forse non proprio felici, per usar un eufemismo, ma piuttosto proporre un pensiero più propositivo, che riguarda quello che è il potenziale stesso dei videogiochi.
La grafica colorata e molto "kawaai" è in netto contrasto con la tematica trattata |
Una meccanica del genere, posta in un videogioco dagli intenti diversi da quelli di HunieCam Studio, sarebbe potuta divenire centrale ed esser portata al suo estremo, proprio per dare un simbolico “pugno nello stomaco” al fruitore. Immaginiamo che la ragazza avesse perso le sue assurde pupille a forma di cuoricino e il suo sorriso fin lì sfoggiato, avesse cominciato a mostrare il suo dolore, a lamentarsi coi suoi superiori che l’avevan costretta a prostituirsi senza nemmeno garantirle un rapporto protetto… sarebbe stato difficile da sopportare, pur trattandosi di un videogioco. E sarebbe potuto esser un messaggio in favore dei rapporti protetti, forse, molto più incisivo di tante pubblicità progresso talvolta un po’ assurde. Volendo far qualcosa di ancor più radicale si sarebbe potuto pur inserire l’impossibilità di vedere guarire quella ragazza anche avviando una nuova partita. Un po’ come la ‘memoria’ che Undertale (2015) mantiene delle partite precedenti, e che può esser annullata solo attraverso una completa rimozione dei dati di gioco dal proprio pc. Questo perché, direbbe qualcuno con un po’ di retorica, nella realtà il new game non esiste.
Questo è un esempio forse un po’ strano e borderline di un tema più ampio, che negli ultimi mesi è riemerso attraverso alcuni particolari esempi. Mi torna in mente un articoletto sul recente Middle Earth: Shadow of War (2017). Chi lo aveva scritto aveva smesso di giocare, perché gli orchetti erano fin troppo umani, e si sentiva a disagio nel trattarli come schiavi, mandarli a morire in battaglia e sentir poi le loro parole di risentimento per esser stati maltrattati.
Una uncanny valley emozionale, legata a creature non abbastanza umane da esser tali, ma non abbastanza differenti da poter esser effettivamente ritenute altro. È un caso particolare, in cui fin dalle pubblicità del gioco si era spinto molto nella sottolineatura di questa memoria perpetua degli orchetti.
L’orco che il videogiocatore aveva risparmiato fa ritorno a distanza di anni nell'efficace campagna pubblicitaria di Middle Earth: Shadow of War (2017) |
Io stesso mi ero già trovato a riflettere, in forma più accademica, in un articolo su un tema piuttosto vicino a questo, a proposito dell’ambiente nei videogiochi strategici. Un ambiente che fa da sfondo a guerre e conflitti, e l’unico rapporto che il videogiocatore ha con esso è attraverso lo sfruttamento, per ottenere risorse finalizzate al conflitto o al più impiegare il territorio per agguati, imboscate e simili. Un “gioioso” prosciugamento delle risorse che nella realtà sarebbe drammatico.
Sia chiaro: non è assolutamente mia intenzione sostenere, con questo, che simili videogiochi dovrebbero cambiare, in quanto i videogiocatori starebbero subendo un qualche ‘indottrinamento’ o ‘anestetizzazione’ sui temi indicati. Non si vuole considerare i videogiocatori come attivi solamente nell’interazione fisica col controller, ma passivi di fronte alle informazioni che dei «persuasori occulti» (V. Packard, I persuasori occulti, 1957, Einaudi) rifilerebbero loro, senza la possibilità di porsi in modo differente dinnanzi al messaggio e reinterpretarlo. Il simbolico invito è semmai quello di prendere simili concetti e renderli centrali, svilupparli al meglio, per poter offrire uno spunto di riflessione. Costringere magari il videogiocatore persino a “far il male” per renderglielo sgradevole, nel gioco ma anche – chissà – nella vita. Videogiochi così già esistono, naturalmente, non si deve nemmeno cader nella scelta di voler (volutamente?) pessimizzare il tutto, sottolineare soltanto il lato negativo, in prospettiva di un futuro “qualcosa” che deve sempre accadere, che deve sempre esser fatto, che deve sempre esser aggiustato, finendo per scartare il presente, l’ora, il momento corrente.
In Tomb Raider (2013) causò non pochi problemi una scena di violenza sessuale Ma a ridosso dall'uscita, venne tolta. Il media non è ancora in grado? |
Certamente rimane il ‘pericolo’ che parte dei media generalisti, delle associazioni e del vasto popolo degli “indignati di professione” dei social networks prendano tutto ciò come un nuovo modo per sottolineare la pericolosità del videogioco, intendendo appunto che i videogiocatori siano intrinsecamente passivi di fronte ai messaggi ricevuti. La recente vicenda di Detroit: Become Human ( the-last-of-us-part-2-detroit-daily-mail-childline) ne rappresenta uno dei tanti esempi, di cui è stata chiesta la modifica o persino il mancato rilascio perché nel trailer viene picchiata una bambina (e il gesto non è compiuto dal personaggio che interpreterà il giocatore). Non per questo, mi permetto di sottolineare, bisogna tirarsi indietro, se si vuole che il medium possa anche veicolare messaggi, oltre che esser un insieme di regole con un (magari carino ma in fondo superfluo) condimento narrativo.
E HunieCam Studio? Non ho più sfruttato l’albergo, nemmeno quando c’era la possibilità di ottenere un preservativo al mercato.
Ho nella mente l’immagine di vecchi danarosi, flaccidi e sudaticci (e con l’aids) che si aggirano lì dentro. E nemmeno per finta, in un videogioco, mi sento di portare avanti qualcosa del genere. Una sorta di forma ‘etica’ (necessariamente fra virgolette) di giocare, se si vuole. E mi piace ricordare, per chiudere, lo stupore di Peter Molyneux, quando vide che nella sua saga Fable un gran numero di giocatori sceglieva l’eroe buono, quando si sarebbe aspettato il contrario (si veda per es. la sua intervista in T. Bissell, Voglia di vincere, 2012, Isbn edizioni).
Ogni atto in Fable e Fable II aveva uno specifico peso etico. Gli atti buoni o malvagi gravavano anche sull'aspetto estetico del nostro eroe. |
Ogni tanto un pizzico di positività ci vuole, come polvere di fata che cala sulla scena videoludica.
E se la fata in questione è Kyu Sugardust di HuniePop… (lascio ai lettori il completamento di quest’ultima frase come più li aggrada).
F.Toniolo
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