PC | PS3 | XBOX 360
Alla terza reiterazione della saga ufficiale Dead Space (DS da quì in avanti) offre di fatto l’approccio migliore al franchise. Se il primo DS può vantare tutti i vantaggi dell’esordio a cui si perdona molto, già il secondo DS ampliava il concetto di racconto in differita a mezzo di ricostruzione intuitiva da parte del giocatore.
Un consiglio: leggetevi Dead Space Martyr, il prologo terrestre a ogni vicenda che riguardi DS. Molte delle immagini che si vendono nel corso del gioco possono essere correttamente interpretate solo dopo aver letto questo interessante romanzo-prequel.
Alla terza reiterazione della saga ufficiale Dead Space (DS da quì in avanti) offre di fatto l’approccio migliore al franchise. Se il primo DS può vantare tutti i vantaggi dell’esordio a cui si perdona molto, già il secondo DS ampliava il concetto di racconto in differita a mezzo di ricostruzione intuitiva da parte del giocatore.
Un consiglio: leggetevi Dead Space Martyr, il prologo terrestre a ogni vicenda che riguardi DS. Molte delle immagini che si vendono nel corso del gioco possono essere correttamente interpretate solo dopo aver letto questo interessante romanzo-prequel.
Si possono passare ore ad ascoltare lamenti e pianti, a leggere sulle pareti messaggi che rimandano all’inconsapevole martire di questa religione, Michael Altman, la cui genesi somiglia molto a quella dei culti organizzati. Il filo logico che lega menzogna-forma liturgica e orrore fattuale punta il dito sul proprio della religione in sé, capace di sedimentare nel tempo il pervertimento dell’origine dei suoi assunti. Il simbolo è ricorrente in DS, soprattutto nel secondo episodio, l’essenziale nella religione che si esprime attraverso una concatenazione di simboli che portano il giocatore a relazionare follia e ritualità.
C’è poco da fare, per “giocare” a
DS bisogna osservare parecchio, è un genere narrativo che è nato coi survival e
fa gruppo a sé. DS3 sposta l’attenzione dal disumanamente smembrato (la realtà
quotidiana di DS2 violata nelle vicende della stazione Titan) all’apocalittica
aliena di stampo plotiniano, in cui “l’Uno” e i “Molti” letteralmente
convergono allargando di fatto il respiro cosmico della vicenda e introducendo
l’elemento archeologico. Tau Volantis è il luogo dove l’orrore è sempre
visibile allo sguardo perso a scrutare skyline e nembi incendiati dal tramonto
alieno, semplicemente il giocatore non può ancora sapere.
Un altro passo avanti rispetto alla normalità violata del secondo episodio e all’imponderabile che fa da sfondo all’episodio originale. Qui ci troviamo nel territorio del sacro disumanizzato: i documenti e gli artefatti unitologisti rivelano la forte impronta data dalla Convergenza ossia “principio universale unico, dinamico e intelligente che regge e guida il mondo e le creature di carne”. Ma come capita all’uomo alle prese con poteri ignoti e transumani ogni manifestazione improvvisa e straordinaria di potenza è motivo di morte e di fatto la sua stessa origine, per cui l’Universo è pieno di Dèi o Divino, o anche, se si vuole, di un unico Dio-Corpo. A condizione però di considerare questo “Dio Unico” come una forza diffusa che si esprime in una moltitudine di simboli disorganici. Inseriti nella coscienza dell’umanità quindi essere uomo significa essere intrinsecamente schiavo, simbolo, culto e carne da offrire. Il terzo DS è di fatto ascensione verso il cuore stesso del senso del sacro: una forza che pervade l’uomo distruggendone la singolarità e lo trasforma in un Assoluto Impersonale. Un mysterium tremendum et fascinans, distrugge mentre ammalia.
In questo senso lo “spazio morto” è la conseguenza diretta di ciò che lascia la terribilità una volta che consuma il materiale di cui si alimenta. L’elemento uranico del pianeta ghiacciato viene associato alla trascendenza, poiché le zone sideree presentano determinazioni tipiche della deità: altezza, inaccessibilità, morte, stasi, trapasso la totale alterità rispetto allo spazio corrente. Il collegamento a stati particolari dell’esperienza umana confluisce nelle visioni di Isaac: estasi, sogno, visione, il volo magico, l’ascensione, la chiaroveggenza, la conoscenza del mondo spirituale come veicolo di catarsi. Quella totalità dell’Essere attingibile attraverso il percorso di ricerca e l’annullamento dell’essere circoscritto nella propria particolarità.
Un altro passo avanti rispetto alla normalità violata del secondo episodio e all’imponderabile che fa da sfondo all’episodio originale. Qui ci troviamo nel territorio del sacro disumanizzato: i documenti e gli artefatti unitologisti rivelano la forte impronta data dalla Convergenza ossia “principio universale unico, dinamico e intelligente che regge e guida il mondo e le creature di carne”. Ma come capita all’uomo alle prese con poteri ignoti e transumani ogni manifestazione improvvisa e straordinaria di potenza è motivo di morte e di fatto la sua stessa origine, per cui l’Universo è pieno di Dèi o Divino, o anche, se si vuole, di un unico Dio-Corpo. A condizione però di considerare questo “Dio Unico” come una forza diffusa che si esprime in una moltitudine di simboli disorganici. Inseriti nella coscienza dell’umanità quindi essere uomo significa essere intrinsecamente schiavo, simbolo, culto e carne da offrire. Il terzo DS è di fatto ascensione verso il cuore stesso del senso del sacro: una forza che pervade l’uomo distruggendone la singolarità e lo trasforma in un Assoluto Impersonale. Un mysterium tremendum et fascinans, distrugge mentre ammalia.
In questo senso lo “spazio morto” è la conseguenza diretta di ciò che lascia la terribilità una volta che consuma il materiale di cui si alimenta. L’elemento uranico del pianeta ghiacciato viene associato alla trascendenza, poiché le zone sideree presentano determinazioni tipiche della deità: altezza, inaccessibilità, morte, stasi, trapasso la totale alterità rispetto allo spazio corrente. Il collegamento a stati particolari dell’esperienza umana confluisce nelle visioni di Isaac: estasi, sogno, visione, il volo magico, l’ascensione, la chiaroveggenza, la conoscenza del mondo spirituale come veicolo di catarsi. Quella totalità dell’Essere attingibile attraverso il percorso di ricerca e l’annullamento dell’essere circoscritto nella propria particolarità.
Avendo ben chiaro l’esito
(parziale) della vicenda si comprende come il significato ultimo del Marchio
non potrà mai essere esaustivamente spiegato dall’analisi scientifica condotta
con l’applicazione dei metodi della storia, della psicologia, dell’etnologia e
in ultimo della vicenda personale di Clarke, analisi pur sostanziali e irrinunciabili.
Resterà sempre in esso un residuo irriducibile alla spiegazione, un non so che
di originario che forse ci rivela il vero luogo, il vero posto dell’uomo nel
cosmo, ossia il mistero terrificante celato dietro alla Convergenza.
Si parlava di uno spazio-gioco narrativo, è il caso di tornarci su. La tanto vituperata parte iniziale secondo me è proprio ben fatta, uno spaccato d’inferno sottovuoto e afono che in termini di esecuzione ha pochi precedenti nella storia del videogioco.
La prima passeggiata nel vuoto profondo viene accolta con terrore e ansia, lanciarsi a gravità zero all’interno di un magazzino abbandonato è una cosa, avventurarsi nell’immensità un’altra…Detriti, curvatura dell’orizzonte, mancanza di punti di riferimento. Un ottimo step che scardina il piano illusorio della deambulazione classica e mostra in un secondo la bontà e la versatilità del motore grafico.
Successivamente, gli sforzi
profusi per rimanere coerenti a quello che ci si aspetterebbe all’interno di
strutture in un pianeta gelato hanno
dello sconvolgente e testimoniano valori produttivi, di gusto e di
verosimiglianza che hanno dello sbalorditivo visto l’altissimo risultato
raggiunto.
Non esiste un corridoio uguale ad un altro, una paratia che denunci uno sfruttamento intensivo e monotematico della stessa texture, tutto quello che è logico e naturale aspettarsi da un buon racconto di fantascienza trova posizionamento consono lungo i ponti e i livelli delle astronavi in orbita e nella superficie ghiacciata di Tau Volantis. Sale di proiezione, condotti di ventilazione, navette di raccordo, sala di controllo ampia e dominante, sito archeologico, padiglioni logistici: l’orrore sta nel rendere il consueto mortale e il giocatore sa bene che tutto ciò che è stato concepito per altre mansioni può essere fonte di malvagità e pericolo.
L’alta densità poligonale permette di scolpire luoghi ampi e dettagliati, volte gigantesche illuminate dai led, volumetrizzate da nebbia e oscurità, rese terribile dalla luce ondivaga di allarmi di sicurezza e neon sbiaditi, il colpo d’occhio coglie il piccolo oggetto e il grande ambiente quali realtà preesistenti alla visita del proprio alter ego. Fuori la neve imperversa sbiadita dal fulgore di un sole morto e di una luna morta e morente. Un luogo di traspasso in cui il concetto di dentro e fuori, aria e vuoto, sicurezza e pericolo vengono ben scanditi e offerti in tutta la loro estrema conseguenza.
Non esiste un corridoio uguale ad un altro, una paratia che denunci uno sfruttamento intensivo e monotematico della stessa texture, tutto quello che è logico e naturale aspettarsi da un buon racconto di fantascienza trova posizionamento consono lungo i ponti e i livelli delle astronavi in orbita e nella superficie ghiacciata di Tau Volantis. Sale di proiezione, condotti di ventilazione, navette di raccordo, sala di controllo ampia e dominante, sito archeologico, padiglioni logistici: l’orrore sta nel rendere il consueto mortale e il giocatore sa bene che tutto ciò che è stato concepito per altre mansioni può essere fonte di malvagità e pericolo.
L’alta densità poligonale permette di scolpire luoghi ampi e dettagliati, volte gigantesche illuminate dai led, volumetrizzate da nebbia e oscurità, rese terribile dalla luce ondivaga di allarmi di sicurezza e neon sbiaditi, il colpo d’occhio coglie il piccolo oggetto e il grande ambiente quali realtà preesistenti alla visita del proprio alter ego. Fuori la neve imperversa sbiadita dal fulgore di un sole morto e di una luna morta e morente. Un luogo di traspasso in cui il concetto di dentro e fuori, aria e vuoto, sicurezza e pericolo vengono ben scanditi e offerti in tutta la loro estrema conseguenza.
La maturità di DS3 non è
specchiatamente ludica però. Dagli esordi il focus è sempre stato quello di una
ripulitura ragionata degli ambienti di gioco con la fluttuazione della
controllabilità delle ondate nemiche.
In fondo si gioca sempre nello stesso modo, con poche novità, si va dalla gestione del panico alla ricerca di safe spot utili alla negoziazione coi nemici fino alla configurazione più funzionale di armi e risorse.
In questo senso è un gioco cresciuto assai poco negli anni, innestato nel solco residenteviliano dell’inquadratura ravvicinata in chiave ansiogena. Il gameplay si poggia sulle solide basi dei predecessori, la mira coercitiva ad arti e protuberanze rimane un punto di orgoglio per la serie.
L’introduzione di nemici umani da combattere come uno spara muretti qualsiasi è detestabile in senso assoluto (i dettami dell’industria) ma non dispiace in senso relativo, visto che differenzia un po’ l’approccio.
Convincente anche la reattività delle creature, tra movimenti sincopati, scatti repentini, attacchi differenziati e imprevedibilità trasformano tutto in un circo cremisi fatto di carne martoriata, budella, denti, arti affilati contribuendo a quel senso di malessere da survival horror in cui il divertimento consiste proprio nell’occuparsi del proprio panico in pochi secondi.
Al livello Normale il gioco non si esprime al meglio, ci si può abbandonare allo spreco indiscriminato di risorse e proiettili. Consiglio almeno il livello Difficile, il solo modo per far venire fuori l’estrema bontà del sistema di crafting delle armi, troppo sottovalutato a mio avviso alla luce della sua versatilità estrema.
In fondo si gioca sempre nello stesso modo, con poche novità, si va dalla gestione del panico alla ricerca di safe spot utili alla negoziazione coi nemici fino alla configurazione più funzionale di armi e risorse.
In questo senso è un gioco cresciuto assai poco negli anni, innestato nel solco residenteviliano dell’inquadratura ravvicinata in chiave ansiogena. Il gameplay si poggia sulle solide basi dei predecessori, la mira coercitiva ad arti e protuberanze rimane un punto di orgoglio per la serie.
L’introduzione di nemici umani da combattere come uno spara muretti qualsiasi è detestabile in senso assoluto (i dettami dell’industria) ma non dispiace in senso relativo, visto che differenzia un po’ l’approccio.
Convincente anche la reattività delle creature, tra movimenti sincopati, scatti repentini, attacchi differenziati e imprevedibilità trasformano tutto in un circo cremisi fatto di carne martoriata, budella, denti, arti affilati contribuendo a quel senso di malessere da survival horror in cui il divertimento consiste proprio nell’occuparsi del proprio panico in pochi secondi.
Al livello Normale il gioco non si esprime al meglio, ci si può abbandonare allo spreco indiscriminato di risorse e proiettili. Consiglio almeno il livello Difficile, il solo modo per far venire fuori l’estrema bontà del sistema di crafting delle armi, troppo sottovalutato a mio avviso alla luce della sua versatilità estrema.
Insomma, cosa dire? DS3 è il coronamento di uno dei franchise migliori di questa generazione, un titolo denso e divertente che adesso può aspirare a un destino più ambizioso. Vendite permettendo…
24 Commenti
Per carità, la qualità tecnica-artistica del gioco è ottima, con una bella atmosfera, corridoi oscuri e ost graffiante.
RispondiEliminaMa il gioco è proprio piatto. Talmente piatto che l'arrivo dei nemici, arrivato alla quarta, quinta, sesta stanza, non sorprende neanche più.
E ti aggiungono pure le missioni secondarie. E cosa fai in queste missioni? Entri in stanzoni lineari, aspetti che fai due passetti, sbuca fuori il nemico dal condotto, e via con altre ondate di nemici da smaltire.
Questo alla fine è dead space 3. Un tps lineare che ti vomita addosso dall'inizio alla fine una quantità industriale di nemici. Con qualità però, a differenza di re6. Almeno questo.
Nel 4 vorrei solo maggior silenzio spaziale e uno schema di level design meno lineare e senza troppe ''ondate'' continue che arrivati sulle 8-10 ore già ti sei rotto.
Ma il "silenzio spaziale" c'è in Dead Space 3.
EliminaE' casomai il fruitore che pretende uno schema collaudatorio, assolutamente incline ai proprio gusti, senza riconoscere a Dead Space III almeno il fatto di proseguire il suo percorso, cercando di portare sul piatto qualcosa di nuovo, evolvere. Poi c'è tantissimo "vero" in quel che analizza il Gladiatore, la matrice ludica non rispecchia assolutamente una parità artistica, quel peso è schiacciante. Paradossalmente Dead Space 3 è molto meglio come libro da leggere che gioco da giocare (mi riferisco al gioco stesso non al libro) I termini usati nel dizionario di DS3 sono conosciuti eppure funzionano, come gioco fa il suo dovere, senza lode, anzi, spesso mi è sembrato disorientato come gioco ma come opera "stesa" è impressionante. Solo la passeggiata a gravità 0 o la cabina di comando del Nostromus è da santificazione immediata, il devteam ha lavorato moltissimo su questi aspetti, come la nave militare che sembra un pezzo della cortina di ferro, sparata nello spazio siderale. Ma la stessa passeggiata è o non è un momento di assoluto ludico culto del videogioco ? Un tentativo, quello di acchiappare lo spazio provato decine di volte, fin dai tempi colonali di OverBlood, mai reso così efficacemente.
Credo che Dead Space III porta il peso di due capitoli più semplici da leggere.
ma purtroppo ha dovuto fare un Dead Space, non ha potuto liberamente espolrare, ha dovuto obbligatoriamente circumnavigare il freddo lago di Tau Volantis. Quindi armine da equipaggiare, la caprioletta per far contenti tutti, il "buh" telefonatissimo, la trama "vorrei ma non posso visto che sono Rated" e così via. Ma seriamente il vissuto ludico, le landscapes non hanno fatto nessun effetto ?
Non ho mai bocciato in toto dead space 3. Gli so benissimo un 8 pieno per l'ottimo lavoro tecnico-artistico del titolo e per la cura per le varie ambientazioni. Anche il livello di sfida è ottimo. Non ho mai sentito squilibri di difficoltà. Sempre omogeneo dall'inizio alla fine.
EliminaSecondo me vuole solo durare troppo per quello che alla fine vuole offrire. Forse anche per questo l'ho percepito ripetitivo.
Ma mai parlato di giocaccio, sia chiaro. Quel titolo lo do volentieri a re6.
Se il problema maggiore è questo credo potrebbe piacermi parecchio. Alla fin fine anche RE4 era strutturato così. Entra nella stanza, via di ondate, svuota, raccogli ammos e prosegui. Ecco, RE4 era bravo a miscelare le ondate nemiche e a creare situazioni di battaglia sempre piuttosto interessanti fino diciamo a buona parte del quinto capitolo, dove tra stanchezza fisiologica e qualche livello poco riuscito (la caverna coi mosconi!) un pò di sensazione da brodo annacquato si affacciava.
RispondiEliminaCurioso di vedere come se la cava DS3 con la composizione delle ondate nemiche...
Si ma re4 non era un corridoio eh. Il level design rendeva ogni scontro sempre diverso visto che potevi interagire con molte cose.
EliminaIn questo DS3 molto spesso non riuscivo ad usare una strategia di difesa proprio a causa delle stanzette ridotte. Nel primo ricordo spazi molto più ampi durante le fasi più affollate.
Poi ripeto, non è brutto il gioco, ha le sue qualità e un art design ispirato. Però la ripetitività e la sua tollerabilità varia di persona in persona. A me è successo questo, magari a qualcun altro non pesa affatto.
Non sò come sia DS3 rispetto all'1, ma sicuro il paragone con RE4 mi pare inappropriato alla luce di un gunplay pensato e modulato per funzionare diversamente come già dicevo nell'In-depth su DS1.
EliminaResident Evil 4 è la gestione di ondate, ma prima ancora di un vasta arena di scontro che se dominata assicura il dominio sulla folla, spesso pure da distanza di sicurezza.
DS è crowd control di medio-corto raggio... Raramente si ha lo spazio per instaurare un dominio del campo, spesso si è limitati al dover ritagliarsi uno spazietto più sicuro degli altri... I margini di controllo e di dominio son riversati tutti sui danni localizzati/smembramenti e lo switch al volo delle armi senza menù di pausa a parare le chiappe... DS è gestire a menadito i secondi tra una ricarica, uno switch, un potere ecc che separano il giocatore dalla sua disfatta.
DS sarebbe stato fallimentare se avesse infilato di sana pianta il gunplay di RE4 in spazi angusti senza contestualmente costruire nuovi livelli di profondità su altri aspetti. Fortunatamente non è andata così... Spero nel 3 non si siano rincretiniti...
Mi cito:"La maturità di DS3 non è specchiatamente ludica però. Dagli esordi il focus è sempre stato quello di una ripulitura ragionata degli ambienti di gioco con la fluttuazione della controllabilità delle ondate nemiche."
RispondiEliminaTutto questo è identico in tutti e tre i giochi della saga principale, l'effetto sorpresa è sempre il medesimo e quindi dopo un po' non è più tale. Eppure non credo che sia il focus del gioco, così come i livelli di difficoltà servono proprio a sostanziare la parte prettamente ludica che, ribadisco, è una componente del gioco ma non la principale.
Pur rispettando il parere del recensore, il mio parere personale riguardo a DS3 è di bocciatura su tutta la linea. L'idea stessa centrale del gioco è stata talmente tanto snaturata ,rimodellata e adattata per far gola a un pubblico più ampio, da farmi pienamente dubitare sull'eventuale acquisto di un quarto capitolo.
RispondiEliminaLa storia si avvale di troppi clichè , alcuni potrebbero prendere come citazioni, ma non aggiungendo niente di nuovo rimane un maneggiamento di cose già viste, già provate. E se in un gioco d'azione potrebbe essere perdonabile, in un gioco horror no. Non un gioco in cui la sorpresa (nel bene e nel male) deve essere marcata: altrimenti è piattume. DS3 in questo pecca...è piattume. Non mi basta cercare di aggiungere la componente "religiosa" (degna del peggior Adam Kadmon), che rimane sempre marginale... insignificante , soprattutto giunti al pianeta ghiacciato (dopo pochi minuti di gioco insomma). Tutto troppo telefonato, tutto troppo già visto. Persino l'ambientazione che avrebbe dovuto giocare un ruolo preponderante è troppo già vista (chi l'ha definita dead planet 3, ovvia storpiatura di lost planet) o l'ultima parte in cui diventa tomb raider space. I personaggi trasformati :Isaac un ingegnere che nel primo gioco riusciva a malapena a camminare con la tuta qui salta , rimbalza spara meglio di un marine. Ellie da donna con attributi quadrati si è trasformata nella solita bambolina da salvare, ecc....
Il gameplay però è la parte che più mi ha lasciato con l'amaro in bocca. Quello che un tempo era un gioco claustrofobico, con forti elementi survival e una sequenzialità scriptata si, ma imprevedibile le prime run, si è trasformata in un'aperto shooter con ampio respiro e ondate di nemici a check point , ondate più adatte a un gears of war , che a un gioco che vantava il titolo di "uno dei pochi giochi horror rimasti".
IL comparto tecnico, pur essendo sufficiente , non ha niente a che vedere con la perfezione dei primi capitoli (soprattutto dal punto di vista audio).
Stendo un velo pietoso sul finale , veramente brutto (ricordo : A MIO PARERE) e minato dalla bruttissima abitudine di mettere il VERO finale in dlc.
personalmente un gioco da dimenticare
Ti posso capire. In fondo chi scrive non si aspetta molto dalla capacità narrativa del videogioco, così come non spera in stravolgimenti ludici eccessivi di un franchise alla terza tornata. Probabilmente a convincermi è la forza realizzativa del tutto che, a mio parere, rimane comunque mirabile. Tutto sommato anche il primo DS era un gioco fortemente derivativo, pur apprezzandolo non ho mai trovato in lui quel germe di originalità che eventualmente si sarebbe guastato con i seguiti. Sul finale perfettamente d'accordo.
EliminaVedo che anche a Kine sono piaciute le ondate alla gears :D
EliminaIndimenticabili pure le fasi con gli umani XD
Molto molto ben fatta la rece di Dead Space 3 in questione, complimenti a Gladatore, tecnico ma anche sapiente analizzatore delle dinamiche sottese al gioco, comrpese quelle, affascinanti quanto discutibili che metttono in campo richiami filosofico-religiosi.
RispondiEliminaDead Space 3 è il peggior gioco che ho giocato quest'anno. Si salva solamente in parte il comparto artistico, soprattutto nella parte finale, mentre per il resto fa tutto acqua da tutte le parti. E voglio dire a The Metaller che no, non c'è proprio nulla di RE4 in questo gioco. Laddove RE4 appunto era una sequenza di orde ben studiate, qua ho visto solo una serie di orde tutte uguali in un level design troppo, TROPPO, TROPPO piatto per avere il benché minimo spunto interessante. Di tutto il gioco salvo solo alcune arene nella parte iniziale del gioco, con un buon level design a sviluppo verticale, la parte immediatamente successiva all'arrivo sul pianeta, che inserisce in modo interessante l'elemento gestione del calore, e il concept (solo quello però) delle missioni co-op. Per il resto di un banale e ripetitivo incredibile. Il concetto della creazione del proprio arsenale, che poteva dare spunti incredibili, viene completamente nullificato dal fatto che alla fine non esiste una differenziazione delle armi dal punto dell'utilizzo strategico, fra un fucile a pompa e un mitragliatore cambiano solamente danno e cadenza di fuoco (cosa che non si poteva dire invece nel primo DS).
RispondiEliminaE vorrei chiedere all'autore dell'articolo come abbia fatto a vedere che "Non esiste un corridoio uguale ad un altro, una paratia che denunci uno sfruttamento intensivo e monotematico della stessa texture" se praticamente una volta arrivati in un'ambientazione si sarà costretti ad osservare quasi le stesse stanze per tutta la sua durata, raramente ho visto un gioco con ambientazioni fra loro poco differenziate internamente come questo.
Oddio, addirittura il peggiore...RE4 è quel capolavoro seminale che conosciamo, è ovvio che il paragone sia di genere, di prospettiva. DS come serie ha un suo ritmo e un suo modo di offrire una progressione. Sarei scorrettto se ti dicessi che il clichè della stanza invasa dai necromorfi (prima o dopo un'azione significativa o come riempitivo del backtracking) non sia perpetrato dall'inizio alla fine, questo è indubbio ma quello che ho provato a comunicare nel pezzo è che dal secondo episodio in poi DS è diventato qualcosa di più complesso. Una complessità in cui l'elemento ludico è importante come tanti altri. Alcuni, molti in realtà, credono che DS abbia detto tutto quello che doveva con il primo episodio. E' una tesi perfettamente sposabile, che ha un suo senso. Là dove il contorno narrativo si è sedimentato visivamente, il gameplay è rimasto quello, anzi ha subito una sorta di specializzazione. Non lo scopo ma un tramite, un raccordo di un tutto. Legittimo che non piaccia.
EliminaDissento invece sulla questione delle armi, purtroppo se non affrontato a livelli di difficoltà congrui questo aspetto rischia di passare in sordina. La scelta dell'arma, il timing, l'area coperta possono veramente stabilire la vita e la morte in determinate situazioni e armeggiando a lungo si raggiungono risultati ragguardevoli.
In riferimento alla varietà ambientale, credo che in assoluto la questione sia fuori discussione (colonia terrestre, astronavi, spazio profondo, superficie ghiacciata e tutta la parte finale che non spoilero), venendo all'omogenità architettonica di un medesimo ambiente credo che possa logicamente ricondursi a qualcosa di verosimigliante. DS3 è veramente un gioco visivamente pregno e vario.
L'ho giocato al penultimo livello di difficoltà in co-op, perché al massimo l'ho trovato incredibilmente rotto. Non è onesto per un gioco porre il penultimo livello di difficoltà, nelle sezioni iniziali di un gioco, come se fosse una barzelletta, e poi scali solamente di un gradino in avanti e pure un necromorfo può risultare un problema per un'evidente questione di sbilanciamento fra danni subiti/danni inflitti. Per la varietà, io ripeto che parlo relativamente alla stessa ambientazione. Mi pare esattamente l'opposto di TLoU, dove ogni stanza era realmente un mondo a parte, che traspirava una sua storia. Qui invece mi è sembrato tutto così incredibilmente uguale...
EliminaNon sono un mago del joypad ma quello che tu chiami "rotto" l'ho dominato efficacemente armeggiando con armi e cambiando tattiche quando serviva. Io la chiamo "profondità laterale" ma capisco e rispetto il tuo punto di vista.
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaBoh Claudio. Quando ci giocherò non mancherò di dire la mia. Messa in quei termini in cui la metteva Ryo, sembrava che il problema vertesse sulla scelta strutturale in sè (ondate per area) piuttosto che sull'esecuzione della stessa (qualità delle ondate, posizionamento, rapporto con l'arena di scontro ecc..).
RispondiEliminaSono davvero curioso di sto DS3, certo a meno che i Visceral si siano ricretiniti del tutto (e potrebbe essere per carità) difficilmente mi aspetto di giocare na roba più piatta, decerebrata, molesta ed offensiva di Bioshock Infinite, visto che nel primo DS mi paiono aver inquadrato per bene cosa significa fare dignitoso gunplay e ricamarci attorno.
Poi vabbè, al peggio e al rincretinimento non c'è mai limite, quindi meglio aspettarsi di tutto.
No no no, è proprio un problema esecutivo. Bioshock Infinite (che continuo a NON trovare così brutto, anzi non lo trovo affatto brutto) sembra la perfezione del game design in confronto. Che poi non è piatto per tutta la durata del gioco, come ho gia detto dopo la prima parte (non quella con nemici umani che è tra le cose più brutte che siano mai state fatte in un videogioco, intendo quella nella nave intervallata da sezioni a gravità 0) è buona e tra il fatto che il sistema di upgrade delle armi sembra qualcosa di nuovo ed interessante, un level design effettivamente più stratificato e una gestione delle orde nient'affatto male si gioca piacevolmente. Poi si atterra sul pianeta ed il gioco sembra ingranare di più con la primissima sezione in cui bisogna gestire il calore che non è realizzata affatto male, ma non appena questo elemento viene meno il gioco perde in una maniera allucinante, si capisce l'inutilità del sistema di upgrade delle armi, le ondate diventano sempre più uguali, il level design sempre più piatto, verso la fine poi ci sono degli errori di level design veramente imbarazzanti... E poi trovo che l'impostazione ad ondate vanifichi un po' la gestione della stasi e della telecinesi che era stato un elemento interessante fin dal primo Dead Space. No, decisamente bruttarello nel complesso, per fortuna l'ho avuto a pochi euro nel bundle EA.
RispondiEliminaEppure ti assicuro che ho sofferto molto di più il secondo episodio, l'ho trovato più trito e noioso. Qui si aggiustano un po' di cosine e ci sono belle intuizioni però sì...manca la zampata di genio del grande prodotto.
EliminaAh, il secondo capitolo l'ho saltato di netto. Se mai avrò l'occasione di provarlo (perché includere nel bundle di EA primo e terzo e non il secondo non lo capirò mai) farò sapere la mia opinione.
EliminaOk, ti sei fatto capire come meglio non potevi. Curioso di leggere le controrisposte di Gladiatore che comunque non mi è sembrato in alcun passaggio del suo testo strapparsi le vesti per il gameplay, limitandosi a descriverlo come funzionale, divertente ma comunque "non maturo".
RispondiEliminaDal suo testo evinco che la bilancia di Gladia abbia giocato a favore del gioco per altri motivi, non specchiatamente ludici.
Comunque curioso di giocarlo, magari sarà l'ennesimo titolo su cui io e lui battibeccheremo amorevolmente come Sandra e Raimondo Vianello. ^^
Conoscendo i gusti di Mettaller in fatto di gameplay, beh ti posso dire che secondo me DS3 possiede delle parti molto ispirate, altre immature e poco calibrate. Vi sono arene in cui lo spawn dei nemici è attanagliante e la cosa devo dire ha fatto storcere il naso a tutti i puristi che frequentano i vari forum e non solo. Io trovo che questa scelta di Visceral sia stata fatta per alcuni semplici motivi: primo, ripetere la formula vuoto pieno di DS1 e perfezionata in DS2 era oggettivamente impossibile se si voleva dare un minimo di respiro ad questo terzo capitolo, un minimo di identità a se stante; secondo, obbligare il giocatore smaliziato, quello per intenderci che seleziona le difficoltà difficile o impossibile, a dosare ogni singola risorsa dell'arsenale, a rivedere ai bench le armi costruite per aggiungere la giusta modifica che può cambiare lo scontro, e soprattutto anche a rimanere col fiato sospeso nel momento in cui, in una grotta ghiacciata ti prepari al tonfo sordo della grata spaccata attendendo l'arrivo dei maledetti. In questi termini le ondate di DS3 sono funzionali, nel senso che tendono a soffocarti se non sai muoverti con malizia in quel mondo di gioco, in quel determinato spazio. Vi sono dei difetti anche un po grossolani, su questo siamo tutti daccordo, ma nessuno secondo me può affermare che DS3 sia un gioco easy, e non nel senso di facile, ma che si faccia giocare con una certa leggerezza d'animo. La malevolenza degli attacchi tende ad indurire i polsi del giocatore, è questo che visceral ha cercato dic reare nel particolare contensto, un senso di costante e sottile file che ti lega alla vita.
RispondiEliminaCerto, la poesia silenziosa e sci fi che Dead Space il primo tesseva viene riecheggiata sol oa tratti nel terzo ed in modi diversi anche se non meno suggestivi, perchè Tau Volantis è una cattedrale ghiacciata di enorme potenziale straniante. Ma quella capacità di ammorbare il giocatore con una litania di sottofondo, o con un rumorino accennato di un ingranaggio che sta svaporando in lontananza, con quelle frasi sussurrate dall'Ishimura in chissà quale sala macchine, da chissà quale voce elettronica di chissà quale computer di bordo.. questo oggettivamente manca a DS3, è stato lasciato a lato della produzione per regalare invece un esperienza di gestione della sopravvivenza a orde mostruose che vogliono la tua fine, ed in certi punti i Viscerali hanno esagerato, si son fatti prendere la mano, toppando in alcune scelte di gestione ondate, oltre che in fasi di trama e dialoghi poco ispirati.
Per questo l'apice del gameplay della serie rimane DS2, il quale costruisce una trama da survival horror nella primissima parte, lasciando il giocatore a vagare in una buia città infestata in cui lo spazio diviene testimone dei resti di carni lacerata che vagano alienamente fuori dalle vetrate, per poi scaraventarci nell'incubo, nel cuore di un infestazione e di ondate di nemici verso la fine che ti obbligano davvero a misurare i passi, la stasi e la cinesi.
Ottime osservazioni. Eppure sono di un'opinione diversa per un semplice motivo, l'esperienza mi ha insegnato che battere in continuazione sullo stesso tasto rende la nota monotona e fessa. DS è un franchise con un grande pregio di fondo: pur cambiando poco le sue meccaniche è capace di regalare sensazioni diversissime ad ogni gioco. La Ishimura è lo sfondo di un horror classicheggiante nella sua accezione sci-fi. La stazione Titan è la violazione della normalità, assurta a rango di incubo salvifico impastato di sangue e budella. Tau Volantis è la mitologia lovecraftiana che irrompe, con la sua archeologia aliena e un mondo nel mondo da ricostruire. Tre modi difformi di affrontare lo spazio morto, tre divagazioni di orrore ludico il cui valore è testimoniato dal fatto che ognuno preferisce questo a quello. Forse il più grande torto che si può fare a DS è quello di accursarlo di non essere sempre se stesso.
Elimina