Super Mario è probabilmente la più famosa e importante icona del media videogioco. Incarna, da ormai trent’anni, un modello dove coesistono qualità, innovazione e divertimento. Eppure, nella progressione dei capitoli “ufficiali” della serie a lui dedicata, è esistita una nota che suonava in una maniera diversa: stiamo parlando di Super Mario
Sunshine, uscito nel lontano 2002 su Nintendo Gamecube. E mai come oggi è il caso di scoprire (o riscoprire) cosa conteneva.
Facciamo un passo indietro, torniamo a 12 anni fa: l’uscita di Super Mario Sunshine è salutata da recensioni mediamente positive e da un discreto successo di pubblico, ma in quegli anni il dominio di PlayStation 2 è imperante: il Gamecube è una console molto elitaria e, altra cosa importante, il videogioco inteso in termini generici non era assolutamente un fenomeno di massa come oggi, bensì un interesse ad appannaggio esclusivo di un mercato mosso da soli appassionati. Tutto ciò ha comportato che Super Mario Sunshine sia ad oggi uno degli esponenti della saga di Mario meno conosciuti in assoluto.
Insomma, in quegli anni, Super Mario Sunshine a molti non sembrò il nuovo grande Mario, nomea che invece verrà affibbiata a furor di popolo alle successive iterazioni, ovvero New Super Mario Bros. Wii/Ds e soprattutto ai due Galaxy.
Effettivamente, non appena avviata una nuova partita, non si può non rimanere momentaneamente basiti: ad accoglierci c’è un imbarazzante filmato (anzi, usando un termine vintage, un FMV) che ci mostra il viaggio di Mario, Peach e relativa combriccola di comprimari alla volta di un’agognata vacanza, il tutto condito da un grottesco doppiaggio (in inglese). In un modo o nell’altro, i nostri eroi giungono sull’Isola Delfina, teatro (e cornice) degli eventi del gioco, dove Mario, a causa di un malinteso, verrà costretto dagli abitanti del borgo a ripulire la cittadella da strani murales e a recuperare i soli custodi sparsi per i livelli. Insomma, la presentazione non brilla affatto per stile. Per fortuna, però, subito dopo il gioco comincia. E che gioco.
Questa volta, ed è un caso unico nella storia di Mario, l’intera dinamica di gioco è influenzata non da power-up con abilità specifiche ma da uno strumento del tutto nuovo, lo zaino/idrante “Splac 3000”, che ci permetterà di compiere azioni prima di allora impensabili: potremo colpire i nostri nemici innaffiandoli (con controllo del getto d’acqua sia in corsa che con una mira più governabile da posizione statica), oppure si potrà trasformare lo Splac in un potentissimo razzo per affrontare gli scenari dal level design verticale; sarà anche possibile utilizzare il versatile tool come una sorta di jet pack per controllare le planate dopo un salto oppure sfruttare la sua capacità di trasformarsi in un saettante motore per lanciare Mario a folli velocità sia in acqua che su terra. Tutto questo con una invidiabile facilità di esecuzione, poiché il sistema di controllo (per quanto complesso) è totalmente in armonia con il design dei livelli, restituendo infine un gameplay che è un capolavoro di sintesi: ogni azione è studiata alla perfezione per essere perfettamente integrata, eliminando ogni margine di scarto e puntando tutto sulla velocità, sulla precisione e, dunque, sul divertimento che ne consegue. In una commistione tra modernità e classicità, verranno proposti anche dei livelli dove non sarà possibile usare lo Splac 3000; in questi percorsi piuttosto ardui emergono le radici platform più pure della serie e, allo stesso tempo, proprio qui è possibile scorgere una forma embrionale di Super Mario Galaxy, anche grazie alla contestualizzazione “astratta” di questi specifici mondi, che ricordano alcune delle galassie del titolo futuro.
E’ proprio nel gameplay super-funzionale e ricchissimo di novità perfettamente integrate che risiede tutta la forza, dirompente, di questo episodio di Mario. Anche perché, a questa giocabilità granitica, è associato un gioco difficile, molto difficile, sia per l’architettura dei livelli, molto ricercata, sia per l’assenza totale di checkpoint (al tempo non ancora di moda). Parlando dei livelli, questi sono accessibili dalla “cornice” Isola Delfina (e contengono tutti 8 soli custodi, più quelli segreti), in maniera non molto dissimile da come succedeva in Super Mario 64; il loro numero (complessivamente una decina) è minore del solito, ma c’è da dire che spesso sono strutturati come macro aree alle quali rapportarsi in maniera diversa a seconda del sole custode specifico; ogni obiettivo comporta una variazione di approccio, o addirittura ci spingerà in zone diverse all’interno dello stesso livello, o ci verranno sottoposti modi diversi di esplorarlo. Per completare la “story line” è sufficiente collezionare circa il 60% dei soli; conquistarli tutti e 120 è quasi impossibile e questo può dare un’idea del tasso di sfida proposto dal titolo.
L’atmosfera generale è veramente speciale; l’Isola Delfina (che deve il suo nome a quello provvisorio del progetto Gamecube, ovvero "Dolphin") e tutti i suoi livelli (fortemente legati a scenari a ridosso delle coste) sono baciati dal sole e accarezzati da splendide acque trasparenti: donano un senso di vivida energia e spensieratezza, e sembrano tutti disegnati in punta di pennello con una palette di colori a tinte pastello. Insomma, anche a livello di impatto grafico, Super Mario Sunshine è un gioiello, e poco o niente importa se in un paio di occasioni le texture non sono le più belle viste su Gamecube o se il design degli abitanti dell’Isola non è grandioso. Una gradita sorpresa è anche il ritorno di Yoshi dopo diversi anni di latitanza, anche se la sua presenza è relegata a poche occasioni (ma con dinamiche originali anche in questo caso).
Super Mario Sunshine è l’ennesimo capolavoro nella gloriosa serie dell’idraulico italiano, e il suo essere stato in parte sottovalutato ne rende ancora più gradevole la riscoperta. E’ incredibile come, anche se giocato oggi per la prima volta, il titolo risulti assolutamente grandioso, immediato e totalmente moderno tanto nel gameplay quanto nelle scenografie. Questa purezza che non teme lo scorrere del tempo, propria di tutti i migliori videogiochi, rivela la vera natura di questo titolo, ovvero il suo essere un grande classico.
Certo, non è un gioco perfetto; molte delle perplessità che hanno accompagnato la sua uscita sono comprensibili, in particolar modo quelle relative alla presenza di un numero contenuto di livelli (che inevitabilmente elimina una grossa componente di desiderio di scoperta) e di una gestione dell'inquadratura (libera) che non sempre si comporta esattamente come vorremmo. La carica rivoluzionaria di questo episodio, per ovvi motivi, è risultata meno travolgente di quella di Super Mario 64. C'è da dire, però, che controllando Mario impugnando l'eccezionale pad del Gamecube e godendo di una simile esperienza, così completa e rifinita, viene seriamente da chiedersi se Nintendo non ci stesse già proponendo più di dieci anni fa un perfetto connubio tra forma espressiva e interazione con i suoi mondi di gioco, senza dimenarsi con telecomandi, pennini o strani tablet; strumenti che hanno certamente decretato la scrittura di pagine di grandi successi (e, non in rare occasioni, di genuine novità), ma col passare degli anni non si può non ravvisare un lento ma progressivo allontanamento dalla qualità assoluta dei prodotti che abbiamo amato in passato.
Andrea Bersani
0 Commenti