SPECIALE - Ogre, Aracnidi e Lamie: filosofia per nerd, fra Darks Souls e Monster Musume

Torniamo ad ospitare sulle pagine di Gamer May Cry con estremo piacere, Francesco Toniolo, uno dei più brillanti filologi moderni sull'arte videoludica e dintorni. Stavolta Francesco ci propone qualcosa di assolutamente unico: una trattazione decisamente interessante ed inaspettata tra due universi che hanno la stessa matrice culturale e spazi culturali e geografici contigui, il funambolico Giappone, con tutte le sue extravaganze estetizzanti ed i suoi caratteri. In questa sede Dark Souls non dovrebbe aver bisogno di presentazioni. Monster Musume (titolo completo Monsutā musume no iru nichijō, cioè La vita quotidiana con le ragazze mostro) è un manga (ora anche anime) di Okayado, di genere ecchi/harem, in cui si parla della “vita quotidiana” di un ragazzo giapponese (Kimihito Kurusu) con sei bellissime ragazze mostro che vivono a casa sua per uno scambio culturale. A dispetto delle premesse, da prodotto fortemente di nicchia, il manga si è imposto piuttosto bene anche sul mercato occidentale, superando in alcune occasioni anche le vendite dei ‘mostri sacri’ dello shōnen. Il presente articolo, invece, raccoglie tre riflessioni differenti, di varia natura, tutte legate a personaggi dei prodotti qui presenti. Si parte con una questione “filologica” legata a orchi e ogre, si passa a una riflessione “anatomica” sulle aracnidi e si chiude con una prospettiva che potremmo definire “storico–iconografica” sulle lamie.


UNA FILOLOGIA PER NERD


Monster Musume
, come del resto numerosi altri prodotti importati dal Giappone, presenta certamente una sfida per chi è chiamato a tradurne i contenuti, poiché non sempre è possibile individuare un esatto corrispettivo per certe parole. Per esempio: l’arpia Papi si riferisce a Kimihito chiamandolo goshujin, cioè, sostanzialmente, “marito di un’altra persona”. Improbabile trovare un corrispettivo idoneo, in questa forma, ma il termine può essere utilizzato anche per indicare il padrone di casa o il capofamiglia (come persona a cui si deve rispetto), ed essendo utilizzato in tal senso nel manga i traduttori hanno saputo trovare un corrispettivo forse non immediato ma efficace. Quando Smith, la coordinatrice dello scambio interspecie, dice a Papi che dovrà comportarsi bene a casa di Kimihito usa queste parole, nelle due traduzioni: «This guy’s technically the boss around here, so be sure to do what he says» (Seven Seas Entertainment, vol. 1, trad. R. Peterson) e «Giusto per essere chiari, lui è il capofamiglia. Obbediscigli, mi raccomando» (J–Pop, vol. 1, trad. M. Cremaschi), da cui l’appellativo di “boss” (traduzione inglese) e “padrone” (traduzione italiana) che l’arpia utilizza per riferirsi al ragazzo. In alcuni casi, però, la situazione si complica ulteriormente. È il caso del capitolo 12, in cui vengono presentati alcuni orchi, i quali hanno preso in ostaggio i clienti di una fumetteria, i quali vengono poi liberati dall’intervento della squadra speciale M.O.N., composta da quattro monster girls fra cui Tionishia.

(a sinistra: due degli orchi. A destra: Tionishia).









Perché viene nominata proprio lei? Perché, nella traduzione inglese, Tionishia è un ogre e gli aggressori sono degli orcs, mentre nella traduzione italiana si applica a entrambi il termine orco. È più un problema della lingua e della sua evoluzione, piuttosto che del traduttore, va subito detto, ma nondimeno può suscitare qualche perplessità. Gli orchi sono, in sostanza, dei grossi maiali antropomorfi, mentre Tionishia è una donna molto alta (ben più dei già imponenti orchi) con un corno sulla fronte. In italiano il termine va benissimo per entrambi, poiché, da sempre, gli “orchi” sono un gran numero di cose differenti. Come ricorda Tommaso Braccini in un suo ottimo saggio (Indagine sull’orco. Miti e storie del divoratore di bambini, il Mulino, Bologna 2013) non è semplice dare una definizione univoca; gli orchi son materia ‘da fiabe’, principalmente, ma anche al loro interno hanno aspetti e poteri diversissimi. Possono essere simili a Barbablù, grandi come una montagna, veloci come il vento, orribili oltre ogni misura, con tratti animali e tante altre possibilità ancora.

Si possono tuttavia fare almeno due considerazioni aggiuntive, esterne alla lingua italiana. Tionishia, in primo luogo, non è propriamente né “orcs”“ogre”: è un’oni, mostruosi giganti del folklore giapponese, imparentati coi demoni e con gli orchi (in senso generale), ed effettivamente si traduce spesso il termine in uno di questi due modi. Ciò è deducibile sia dal suo aspetto che dal suo nome. Gli oni – solitamente – hanno una statura gigantesca e le corna (una o, più spesso due). Inoltre tutti i nomi della squadra M.O.N., e non solo, sono ‘parlanti’: Zombina è una zombie, Doppel una Doppelganger (in realtà è una più generica mutaforma con un vero aspetto “da racconto di Lovecraft” e un nome impronunciabile che ha deciso di sostituire con Doppel), Manako una ciclope (manako è una delle pronunce del kanji di “occhio”) e infine Ti–oni–shia.


Sapere però che sia la versione ingentilita e sessualizzata di una sorta di demone giapponese, però, ancora non è di grande aiuto, sia perché anche gli “orchi” possono essere alti e cornuti, sia perché – come detto – il termine può essere tradotto in vari modi. Spostiamoci allora sul versante inglese. I termini orc e ogre, stando ai dizionari etimologici, finiscono per risalire, seguendo strade differenti, alla stessa originaria parola latina, Orcus (l’inferno), e da lì ancor indietro. Né si notano particolari differenze di significato: in entrambi i casi parliamo di un mostro divoratore di uomini. La distinzione fatta in questo contesto riguarda al massimo l’arcaicità del termine orc, il quale era caduto in disuso. E chi è stato allora, viene da chiederti, a riportarlo nel linguaggio presente? J.R.R. Tolkien, il quale ne Il Signore degli Anelli sceglie il termine più vicino all’etimo originale (si veda Braccini, cit., p. 186) per definire la razza dei mostruosi servitori di Sauron. Ora, come noto, l’opera tolkieniana ha fatto scuola, soprattutto in quel generale “panorama nerd” di persone che si nutrono di giochi di ruolo, romanzi fantasy, videogiochi, fumetti e quant’altro. Il modello che è andato imponendosi come “orc” è dunque quello di una creatura simile agli orchetti di Tolkien: grande grosso modo quanto un essere umano, con la pelle grigia o verdastra, organizzata in strutture più o meno tribali, amante della guerra e dell’altrui sofferenza e via dicendo. Da qui si sono poi aggiunte stratificazioni su stratificazioni, fino agli orchi alla World of Warcraft e simili. E l’ogre? In molti contesti, soprattutto “nerd”, il termine è rimasto ma si è differenziato, andando a indicare tutti quei bestioni grossi, solitari, aggressivi, cannibali e piuttosto stupidi che riempiono tanti mondi fantasy e che sono talvolta pure utilizzati in battaglia dai più piccoli ma civilizzati orcs.
Aggiungiamo una “prova del nove”: In Dark Souls non esistono orcs, ma abbiamo – precisamente in Dark Souls II – dei grossi e famelici bestioni, molto più grandi di un essere umano, con una bocca smisurata, un solo occhio e un piccolo corno in fronte.

Un Ogre di Dark Souls 2

Simili creature, nella versione inglese del gioco, si sarebbero potute definire legittimamente sia “cyclops” che “orcs” (o anche “oni”, volendo seguire una qualche forma di esotismo). Ma, come si vede anche nella guida ufficiale, si è scelto l’altro termine, ogre, probabilmente anche seguendo questa nuova suddivisione venutasi a creare, che forse non trova spazio – per ora – nei dizionari etimologici, ma che ha un valore di discrimine per molti amanti del fantasy.
La dolce Tionishia, insomma, è imparentata più con questi bestioni che con gli orchi de Il Signore degli Anelli, World of Warcraft, Dungeons&Dragons e compagnia, e – per quanto si è detto finora – si è cercato di spiegare perché la fanciulla è un “orco” in italiano e un “ogre” in inglese.

UNA QUESTIONE ANATOMICA

Su questo secondo punto ci limitiamo a due velocissime considerazioni. In ottica psichica la figura del ragno si ricollega facilmente al lato oscuro di quell’archetipo che è la “Grande Madre”, la quale è sì fornitrice di vita ma è pure signora della morte. È una madre che non solo partorisce, ma divora. Non per niente i ragni sono noti sia per la prole numerosa sia perché divorano i propri simili. Spostando tutto ciò sul piano della sessualità porta a un collegamento con quel senso di inquietudine che alcuni proverebbero, inconsciamente, per i genitali femminili, percepiti come mancanza di un ‘pene femminile’ o legati alla castrazione. Sono noti infatti i sogni di diverse persone che avrebbero espresso queste loro paure attraverso l’immagine onirica di un ragno (magari peloso). Si è quindi di fronte a un organo genitale che, simboleggiato dal ragno, unisce vita e morte, e che è castrato e castrante al tempo stesso. È, insomma, la “vagina dentata” di cui si sente ogni tanto parlare, presente nel folklore, nella psicanalisi e nella cultura popolare, dal film Denti (2007) agli Xenomorfi, i quali – in fondo – hanno una sorta di lingua–pene–vagina–denti tutto condensato in una sola parte del loro corpo (la quale non svolge propriamente tutte le funzioni di quanto indicato qui sopra, ma vi si avvicina di volta in volta per vari aspetti). Veniamo a Dark Souls, con Queelag, la figlia della strega di Izalith mutata in un ibrido mostruoso fra un ragno e una donna. Anzi, possiamo dire che sia in sostanza un grosso ragno mutante con innestato un busto femminile.

Queelag (Dark Souls)

Notiamo anche come questo busto femmineo, interamente nudo, vada a innestarsi nel corpo del ragno proprio all’altezza dei genitali. Queelag è pertanto sprovvista di questi organi, ma presenta al loro posto una bocca irta di zanne, capace pure di sputare fiamme. Non è dato sapere con precisione di cosa Queelag si nutra, ma la sua immagine risulta comunque ‘divorante’. Abbiamo qui una “vagina dentata” nel vero senso della parola, che unisce nascita e morte, consumazione dell’atto sessuale e delle carni. Sua sorella, la Fair Lady, meno inquietante e aggressiva ma dotata della stessa bocca/vagina, è circondata da quelle che sembrano uova (che mai si schiuderanno), a rimarcare il legame del ragno con la prole numerosa, oltre che con questo elemento divorante. E le due sorelle non sono certo l’unico esempio. Mettiamone un altro fra i molti possibili, preso da un manga (giusto per avvicinarci all’altra parte del confronto).

(K. Jamazaki, The Ancient Magus Bride, trad. E. Serino,
Star Comics, vol. 3, p. 36).

Non è propriamente Queelag, ma non se ne discosta nemmeno troppo, e chiarisce in modo ancor più evidente quanto si è detto fin qui. Passiamo a Monster Musume e a Rachnera, la donna ragno (aracne), molto simile a Queelag per il modo con cui il suo busto femminile paia incastrarsi o poggiarsi sul corpo da ragno, più che farne effettivamente parte. Del resto si può dire che entrambe siano delle Jorōgumo (la stessa creatura che si trova anche in Nioh), quindi non c’è da stupirsi. È interessante invece soffermarsi un momento sulla descrizione di alcune caratteristiche di Rachnera.

(La tabella sull’anatomia di Rachnera)

Riporto la traduzione italiana, presente sulla copertina del 4° volume: «I pedipalpi. I ragni normalmente usano i pedipalpi per mangiare, ma quelli dell’aracne, ovviamente, non arrivano alla bocca. Si pensa che siano usati, durante l’accoppiamento, per tenere fermo il partner». Considerando la parte umana di Rachnera i citati pedipalpi sarebbero le sue gambe, per cui è normale che non arrivino alla sua bocca, come ci dice la descrizione. Ma, se consideriamo la parte da aracnide del suo corpo, i pedipalpi si troverebbero esattamente ai lati della bocca.
E, se Rachnera fosse Queelag, avrebbe proprio una bocca fra i pedipalpi/”gambe”, come si è visto in precedenza. Così non è: in quel punto sono presenti i suoi genitali. Genitali che stanno ‘al posto’ della bocca di un ragno, con tanto di pedipalpi a “tenere fermo il partner”; gli stessi pedipalpi che i ragni usano per mangiare.

Rachnera stringe a sé Kimihito durante il loro primo incontro

Abbiamo un esempio nell’immagine qui sopra: Rachnera tiene stretto Kimihito non solo con il braccio, ma anche con i pedipalpi. (Per inciso, è il momento in cui la donna sente, premuto contro di lei, un “qualcosa” che si indurisce). La dimensione erotica emerge in maniera piuttosto evidente, ma non nasconde del tutto un qualcosa di ‘divorante’. Anche se Rachnera non è una cannibale (quando, nella stessa scena, sembra che stia per mordere Kimihito inizia in realtà a leccargli l’orecchio con fare sensuale) è una dominatrice che imprigiona le proprie ‘vittime’ proprio come farebbe un ragno con la sua preda, o con il suo stesso partner. Se con Queelag abbiamo la prevalenza dell’elemento mostruoso e ‘divorante’, che cela però un sottotesto sessuale (la bocca come vagina), con Rachnera avviene l’esatto contrario, col prevalere dell’elemento sessuale, ma con tracce ‘divoranti’ (la vagina come bocca).

AMORE, CIGNI E SERPENTI

Nel capitolo 19 di Monster Musume Kimihito va a visitare l’acquario cittadino con Miia la lamia e Mero la sirena. Miia viene avvicinata da un altro semiumano, Draco, che la porta a far un giro in barca nel laghetto lì vicino. Dopo un breve dialogo Draco, finora gentile, rivela di essere un draconide (invece che un semplice uomo lucertola) e inizia a molestare Miia, palpandole il seno mentre la tiene immobilizzata. In quel momento giunge da riva una di quelle barchette a forma di cigno che spesso possono venir noleggiate. Kimihito, pedalando a folle velocità, fa letteralmente volare la sua imbarcazione per salvare Miia dal molestatore (o meglio dalla molestatrice, visto che, come si scoprirà subito dopo, Draco è una femmina).

La barchetta lanciata a tutta velocità

Cito questo specifico episodio perché qui si ricostruisce, direi in via casuale e inconsapevole, il momento topico di una tipologia di quei racconti medievali che si tramandavano ex audito, giunte da tempi precedenti e lì talvolta codificate, in forma scritta, in storie più complesse. In questo caso il racconto in questione è quello del “cavaliere del cigno”. Una fanciulla in pericolo, nell’ora del bisogno, viene salvata da un misterioso cavaliere, giunto su una barca trainata da un cigno.

La versione probabilmente più nota della storia è quella di Lohengrin, anche grazie all’omonima opera di Wagner a lui dedicata, ma ne esistevano molte altre (chi volesse può legger, per approfondire, un testo come A. Varvaro, Il fantastico nella letteratura medievale, il Mulino, Bologna 2017). Il contesto in Monster Musume è certamente ben diverso, ma gli elementi chiave sono rintracciabili in filigrana. C’è il “cavaliere” difensore, ci sono cigno e barca (qui fusi in un solo oggetto), c’è la minaccia (un “drago”, una delle fonti di pericolo per eccellenza nel medioevo) e c’è la fanciulla in pericolo. La fanciulla in questione, Miia, fantastica spesso sull’essere una principessa tratta in salvo dal suo amato, anche nelle molte occasioni in cui sarebbe comunque più che capace di salvarsi da sola (si veda, fra gli altri, il capitolo 45). Ma Miia è anche una lamia, il che aggiunge un ulteriore elemento di interesse, sempre a proposito dell’immaginario medievale. Si è detto, in tal senso, che i racconti del cavaliere del cigno sono una sorta di corrispettivo maschile di un altro genere di racconti, detti ‘melusiniani’ (Varvaro, cit., p. 65). Di cosa si tratta? Sono storie in cui un cavaliere sposa una bella fanciulla, che però non può vedere in determinati momenti o che, comunque, gli impone determinate limitazioni. Il cavaliere di turno, insospettito da certi comportamenti della moglie (la quale, per esempio, non si fa mai trovare in chiesa durante la consacrazione dell’ostia), decide infine di indagare, scoprendo che la moglie possiede una coda di serpente, o di pesce. La donna allora non può più restare, fa ritorno al suo mondo, lasciandosi solitamente dietro qualche figlio, il quale diverrà poi il capostipite di un importante casato. Il cavaliere del cigno, similmente, rimane con la donna che ha salvato solo fin quando la sua identità e il suo nome rimangono celati, perché egli è in realtà figlio di Parsifal e protettore del Graal, o si lega comunque in qualche misura al “meraviglioso” e al soprannaturale. Anche lui, di solito, si lascia dietro dei figli destinati a grandi imprese. 

Una melusina spiata nel momento in cui rivela la propria natura

Le “melusine” hanno dunque, il più delle volte, una coda di pesce o di serpente (e a margine notiamo anche, altro caso, che in questo capitolo di Monster Musume Kimihito è accompagnato proprio da una lamia e una sirena). Non si tratta sempre di creature malvagie, ma sono spesso legate in vario modo alle forze demoniache, presentandosi come infernali ingannatrici o demoni del sesso. Nel loro lato maligno si ricollegano allora a tutto quell’insieme di streghe, succubi e – tra le altre – lamie che popolavano l’immaginario medievale. Come nel precedente caso degli orchi, suddividere con precisione questo insieme di creature sarebbe estremamente complicato. Fermiamoci anche solo sulle lamie. Storicamente, nel mondo classico, Lamia (con la maiuscola) era una delle tante bellissime mortali di cui Zeus si era invaghito. Era, gelosa di questa relazione adulterina del marito, uccise tutti i figli della donna. Quest’ultima, per il dolore, si trasformò in un mostro con coda di serpe e iniziò a divorare i neonati di altre donne. Sembra inoltre che, al pari di un vampiro, andasse in giro a succhiare il sangue. Le lamie divennero poi una categoria e i loro attributi si moltiplicarono, fra cui la possibilità di mutare aspetto per sedurre gli uomini, al fine di nutrirsi di loro o per altri scopi (e ci si riavvicina alle melusine).

Chi volesse approfondire il discorso su tutto questo vastissimo panorama di creature può leggere, ed è liberamente consultabile online, L. Zeldenrust, When a Knight meets a Dragon Maiden: Human Identity and the Monstrous Animal Other, 2011 [http://www.medievalists.net/wp-content/uploads/2012/09/When-a-Knight-Meets-a-Dragon-Maiden.pdf].

Passiamo invece a Dark Souls II, con la sua Mytha the Baneful Queen. Un tempo umana e molto bella, era sposata col re del castello vicino, il quale però era infiammato dalla passione per un’altra donna. Mytha, disperata, ricorse a ogni espediente per accrescere la sua bellezza e riconquistare il cuore del re, giungendo al punto di avvelenarsi da sola. Il veleno e la follia la tramutarono poi in una donna–serpe senza testa, ed è in tal forma che viene affrontata dal giocatore.

Sopra: Mytha da Dark Souls II. Sotto: Miia da Monster Musume

Si potrebbe seguire la più o meno oziosa discussione su quale sia la creatura mitologia più vicina a Mytha. Potrebbe esser una naga o, più precisamente, una nāgiṇī, essendo di sesso femminile. Potrebbe essere una lamia. Qualcuno ha parlato di Medusa e delle gorgoni, ma quest’ultimo elemento sembrerebbe più che altro nascere da un’incomprensione iconografica. Medusa è spesso raffigurata decapitata, ma non è mai lei a regger la propria testa; è l’eroe Perseo a sollevare il macabro trofeo, dopo aver decapitato il mostro. Tradizionalmente, inoltre, Medusa non ha una coda di serpente al posto delle gambe, né particolari attributi da rettile, a parte i famosi capelli di serpe, i quali sono assenti in Mytha. Visto l’elemento della metamorfosi legato al dolore e all’amore si potrebbe forse optare per la lamia, tenendo così anche tutti i sopra citati legami e mescolamenti con melusine, empuse, streghe e altre temibili donne dell’immaginario medievale. E, al pari del cavaliere del cigno, si potrebbe anche qui vedere che ci sono (casuali?) filigrane tematiche pronte a emergere, ma – per usare una delle più abusate chiuse – questa è un’altra storia, e lasciamo un po’ di curiosità per futuri appuntamenti.

Francesco Toniolo

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